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venerdì, Aprile 19, 2024

La battaglia della Parrocchia di San Sebastiano. Una replica a Grazia Belgiovine

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NN | Gent.ma Sig.ra Belgiovine, ho avuto modo di leggere il Suo intervento dalle pagine di questo giornale circa le vicissitudini occorse ultimamente a Forio ed inerenti alla vita, che si dispiega attualmente nell’ambito della un tempo molto accorsata parrocchia di San Sebastiano M., e che stanno tenendo viva l’attenzione della cronaca sui vari media.
Ebbene, immagino che Lei, quand’anche “caruccia” finanche ben istruita, non abbia parlato solo per iniziativa personale, ma in quanto collaboratrice fidata ed in pectore del reverendo, portavoce della sala stampa parrocchiale, web engeneer and designer, project manager and finacial leader, nonché “tiranasse pescatoria” nel mare magnum di una religiosa realtà territoriale così vasta da comprendere ben cinque chiese.

La conosco da anni, avendo frequentato, ed ora non più, quei luoghi già spiritualmente ameni, e devo dire che, nonostante la nobiltà del Suo animo signorile, non mi ha mai degnata nemmeno di un saluto, né ha mai risposto al mio.
D’altra parte, non è che in passato abbia avuto modo di osservare un’assidua Sua frequenza in chiesa, se non unicamente nelle occasioni ufficiali in cui Lei partecipava nel Suo allora ruolo di first lady.

Possiamo affermare, senza alcuna tema di smentita, che la Sua partecipazione è divenuta alquanto fervente proprio con l’arrivo due anni orsono del nuovo pievano.
La Sua massiccia presenza è balzata subito agli occhi, anche perché profonde a iosa, come altri a Lei pari, il Suo attivo contributo al caro sacerdote e questo Le fa onore e merito; mi domando tuttavia come faccia, presa dagli anzi descritti impegni, a trovare pure il tempo di inginocchiarsi e di cui si vanta come il buon fariseo al tempio contro il pubblicano peccatore.

Tralasciando queste quisquiglie, ho piacere a soffermarmi in particolar modo su quanto da Lei tatticamente espresso, pur previamente conscia di un’eventuale reazione contraria del “Don” a fronte della Sua, maggiormente libera, iniziativa a motivo del Suo status di laica.
Veda, quello che nel Suo inconcludente e pigolante berciare ha suscitato in me, ma immagino in molti altri nostri compaesani, perplessità e disappunto con relativa contrizione d’animo è stata la Sua donchisciottesca protervia, esternata platealmente al punto da dimostrare il Suo scarso discernimento a causa dei paraocchi indossati, senza se e senza ma, laddove Le sarebbe stato più consono adoperare il metro di una salomonica giustizia, affinché il Signore, quando un giorno sarà alla sua presenza e gli farà l’elenco delle attività da Lei compiute e del Suo aver mangiato alla Mensa Eucaristica, voglia non dirLe: “In verità ti dico non ti conosco!”

Capisco e ne provo gioia che anche Lei abbia alfine deciso di mettere mano all’aratro, pur essendo, ed è notorio, un’operaia “del tramonto” (della vita) nella vigna del Signore, ma La invito caldamente a non lanciarsi in pindarici giudici in merito all’altrui capacità di Fede, supportando le Sue strampalate osservazioni con il lerciume da “tronfia
sequela buonista”, che va a colpire con aggressività spietata tutto l’apparato organolettico del “buon sentire cristiano”.

Ecco, esimia signora, so bene che in questo momento non stia rivolgendomi ad persona “caruccia” qualsiasi, ma ad una di un certo spessore e Le dico che è sì vero che Lei ed i numerosissimi “piosantieri volontari” tanto facciate per sostenere il signor curato, ma non mi è sfuggita una particolare marcatura nel vostro comune comportamento per cui – e qui lo psichiatra Vittorino Andreoli descriverebbe il concetto con maggiore esaustività di me in uno dei suoi libri, che non cito – più che il Dio di ogni consolazione siate portati a ricercare nel vostro contatto con il sacro le consolazioni di Dio.
Veda, per falso rispetto umano, quasi sempre ci illudiamo di fare il bene, ma al contrario non facciamo il Bene.

Vado a spiegarmi portandoLe un esempio fra tanti: quando ottimi sacerdoti, che non nomino ma che io stessa stimo immensamente, vanno puntualmente a sostituire il signor curato Monte per le confessioni, di certo fanno il bene, perché si occupano con tanta abnegazione di anime da lui abbandonate, “povere”, che gli stendono ogni giorno la mano ad elemosinare “non l’oro o l’argento”, ma la ricchezza della Grazia di Dio ed alle quali volta lo sguardo.

Quei sacerdoti tuttavia non fanno il Bene, perché, se avessero l’ardimento della Fortezza, acchiapperebbero una bella “zavattola” e minacciandolo di farlo nuovo nuovo, gli direbbero: “Noi ti veniamo volentieri a dare una mano, ma tu sei il parroco, sei il loro padre, passaci avanti e comincia seriamente ad essere un uomo vero, facendo il tuo dovere! Non sei divenuto sacerdote se non per questo e vai a portare il viatico ai moribondi o sollievo agli anziani e agli ammalati!”

Non lo fanno e parimenti non lo fa nessuno di Voi, pensando solo ad ostentare in manifesta competizione la vostra pseudo bravura, e così tutti gli altri, estranei alla cerchia dei ciambellani-paggetti, non vengono in chiesa proprio per colpa di coloro che in chiesa ci stanno anche troppo ed a sproposito.
Forse non avrà mai avuto modo di leggere alcunché della vasta letteratura redatta nei secoli ad oggi da santi sacerdoti esorcisti.
Lo sa Lei come vengono definiti dal demonio i “chiesani” mariani come me ed altri?
Glielo dico: “I falsi cristiani, i seguaci di quella donnaccia mia nemica…” e così via.
Ora Lei ci va definendo, tributandoci, pur non essendone conscia, un sommo ed incredibile onore, proprio così: “falsi cristiani”.
Chi è stato a suggerirLe tal espressione contro di noi? Come l’uomo che sussurrava ai pony, proprio il Maligno?
Nel finto bene state letteralmente soffocando, con la Vostra “stupefacente coltivazione” di gramigna, di zizzania e di ogni sorta di malerba, un sacerdote, non facendolo crescere davanti a Dio.

Il problema di fondo della personalità di don Emanuel – per nulla, a mio parere, fondamentalmente malvagio – sta nel suo non sapersi rapportare al prossimo in maniera adeguata e progressiva.
Sembra quasi che gli manchi, volendo adoprare la terminologia descritta dallo psicologo Daniel Goleman nei suoi noti bestseller, “L’intelligenza emotiva” e “L’intelligenza sociale”, una sorta di “alfabetizzazione emotiva”, che gli consenta di entrare davvero in un rapporto di profonda empatia con i suoi simili.
A questo “impasse” si aggiunge la sua timidezza palese, che rasenta i tratti della cosiddetta “fobia sociale”, che lo porta a “scappare” dalle “fonti di disagio”, fino ad arrivare, pur egli non volendo, a comportamenti menzogneri tipici degli affetti da “istrionismo patologico”, pur non rientrando il suo caso certamente ed ovviamente in tale quadro “clinico”.

Non va trascurato – ed in questo riprendiamo il nostro Andreoli – che, dalla sua ordinazione ad oggi, purtroppo coscientemente, si sia trasformato in un “prete burocrate, che si ammala di burocrazia….”, ovverossia (parla sempre lo psichiatra) arriva al punto da aver contratto “una forma grave di patologia che si potrebbe leggere in tutta la sua drammaticità osservando la condizione del nostro paese. La malattia consiste nel ritenersi importanti, anzi indispensabili, pur non facendo nulla; e lo sforzo sta nel mostrare la propria indispensabilità, senza mai assumersi una responsabilità diretta, perché il riferimento va sempre a una normativa e alle sue interpretazioni o al superiore che deve mettere una firma vicino alla propria”.
Continua Andreoli: “Sono convinto che il prete che manca della relazione con il proprio gregge (credenti e non credenti) perde l’afflato del pastore e della missione salvifica, che si compie solo a contatto, nella relazione con i propri fedeli. Senza, il prete si inaridisce, emergono dimensioni personali che talora mancano di umanità, si pietrificano i cuori, si induriscono in attività che si fanno ossessive e che allontanano dalle emozioni ma soprattutto dal dolore della gente che viene a chiedere aiuto al sacerdote per capire il senso dell’uomo e del proprio dolore. E lo affermo sulla base di un confronto lontano, ma che umanamente ha qualche corrispondenza con la mia professione (vocazione umana)”.
Don Emanuel sembra a questo punto assomigliare a quell’aquilotto dischiuso da un uovo covato da una gallina, il quale vivendo nel pollaio, continua ad avere gli occhi al suolo, beccando continuamente il terreno al modo degli altri pulcini, che crede fratelli. Un giorno, alzando gli occhi al cielo, vede volare libero un uccello maestoso dall’ampia apertura alare e ne invidia la vita, fino a quando non si rende conto di essere in tutto uguale a quell’uccello: un’aquila e da quel giorno in poi spicca finalmente il volo verso l’infinito.

A lui, non come ad un fratello ma come ad un figlio, dico: “Apri gli occhi, allontana da te questi maligni, perniciosi sacchetti di zavorra, portatori di morte intorno a te e dentro al tuo cuore. Vola in alto verso l’Infinito, che ti ha creato per essere una grande aquila per te stesso e per gli altri. Tu sei questo e da oggi in poi manifesta nella tua persona la Gloria di Dio e con la sua Grazia sii il sacerdote santo, che Lui vorrebbe tu sia. Il migliore di tutti, perché sei stato creato a tale scopo e nella sua Resurrezione sei stato reso Uomo e non schiavo. Ecco, io oggi gioco davvero d’azzardo e per conto di Dio, scommetto su di te”.
A Lei, signora Belgiovine, “caruccia” simpatica, ed altri suoi affini dico: “E’ inutile che mi muoviate guerra, perché – secondo la Parola del Signore (Geremia 1, 19) – non mi vincerete, dal momento che Egli è con me per salvarmi”.

Non pensate mai più a perdere tempo a “bacchettonarmi”; fra tante opere di santi della Chiesa, adoperatelo a leggervi possibilmente dal latino tutta la quadrilogia di sant’Agostino sul tema della correzione fraterna, a partire dal “De gratia et libero arbitrio” in poi. La saluto in cordialità.

4 COMMENTS

  1. Non credo di conoscere (purtroppo) la Signora N.N e non intendo entrare nella questione, commento solo per plaudire ad un articolo scritto magistralmente in italiano dotto, con riferimenti, figure retoriche e un linguaggio forbito tanto da renderlo (a mio giudizio) piacevolissimo da leggere e da apprezzarne taluni tecnicismi linguistici che ai nostri giorni sono sempre più rari.

  2. La signora Nausica Nausica si chiamo Lucia Buono e fa l avvocato ce l ha con Don Emanuel perché è un indemoniata che spesso alle messe di liberazione e guarigione e andata in manifestazione…per questo nessuno compreso il vescovo la risponde è inutile è un altro essere che la fa parlare, basta non pensarla finirà da sola tutto. POVERA LUCIA

  3. Qui in pratica si parla di psicopatici che danno del psicopatico ad altri psicopatici seguendo lo schema conoscitivo dei soggetti coinvolti, mhaaa….in ogni caso ne esce una immagine della chiesa, di una parrocchia, desolante e per niente rassicurante. Dato che la chiesa non è una repubblica ma una monarchia assoluta, una delle ultime rimaste, se in linea gerarchica il responsabile di zona è il vescovo, i sudditi ovvero il popolo religioso, avendo qualcosa da contestare all’operato di uno dei suoi funzionari o meglio pastore preposto alla guida del gregge, possono rivolgersi a questi in maniera non plateale e discuterne in privato invece di accendere micce e provocare roghi che se indubbiamente da soddisfazione per certi, nel contesto più generale, non può fare altro che seminare rovine……ma credo che fra entrambe le parti si pecchi di manie di protagonismo: da una parte il prete fantasma burocrate e dall’altra parte i paladini della fede attaccati alle loro trazioni simili a monoliti divinizzati. Auguri.

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