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venerdì, Aprile 19, 2024

Ischia, cinque cheerleader per Angelo Iervolino

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Questo post è il seguito naturale di altri due. È finito il campionato di Angelo Iervolino e dell’Ischia. È terminato un percorso protetto da molti (purtroppo) ed oggi, tutti, possiamo prendere atto di quello che è stato. Mi ero chiesto ad inizio campionato se Iervolino fosse un ciuccio e presuntuoso o un visionario. Beh, lascio il giudizio a quelli che hanno seguito l’Ischia in questo campionato di Eccellenza.

Non tutti dobbiamo essere tifosi (nel senso che dobbiamo chiudere gli occhi e applaudire) e possiamo porci qualche domanda che supera il terreno di gioco e possiamo anche analizzare il fenomeno che interessa molti con quel giusto distacco che rende tutto meno contrastato.

DIAMOGLI UNA U come ultimi. È triste pensare che l’Ischia sia ultima nella graduatoria dei play off. Ottava su otto è un primato. Vogliamo dirci che i droni e tutte le novità non servite più di tanto. Vogliamo dire che fare figli e figliastri demoralizza e non premia. Vogliamo dirci che la vedere segnare e risolvere le gare dai panchinari è offesa e un motivo di demoralizzazione anche per i titolari? Siamo onesti.

DIAMOGLI UN M come mediocrità. Nonostante il quarto posto e il sogno possibile del secondo, la verità è che questa Ischia è sempre stata mediocre. E, attenzione, non è una formazione mediocre bensì una squadra mediocre. Una mediocrità sintomo e simbolo di quello che sembrava dall’inizio. Porte chiuse, allenamenti alla Cesare Covino, droni e uno staff di giovani in cerca d’autore non è riuscito ad andare oltre il mediocre. Quel voto che supera di poco la sufficienza ma non è buono.

DIAMOGLI UNA I come innocenza. Perduta. Angelo Iervolino è arrivato alla corte di D’Abundo per il dopo Billone. È arrivato, ha cacciato tutti quelli che avevano una parola in più di lui per carriera, risultati, trofei e campi calpestati. Era un innocente quando è arrivato. Oggi finisce da colpevole. E, se anche i play off si trasformano in un appello che lo assolve, le colpe restano perché avranno echi e strascichi nei tempi che verranno.

DIAMOGLI UNA L come livore. Durante tutto il cammino di questa Ischia, nonostante i finti sorrisi, quello che piano piano è emerso è stato il livore. Quel sentimento che impedisce la gioia. Quella finta umiltà e serenità che ci hanno provato a raccontare Taglialatela, Lubrano e Iervolino. Il livore contro le critiche e contro le obiezioni. Quell’allergia a rendersi conto che qualcosa non andava.

DIAMOGLI UNA T come tossico. E vorrei che “tossico” non fosse letto come aggettivo bensì nella sua accezione napoletana “ndusscat”. Cosa vogliamo dire ai giovani della Juniores che hanno vinto il loro campionato e che si sono visti le porte del Mazzella chiudersi perché non graditi al Mister? Qualcuno direbbe che sono scelte legittime. Per carità, ma non possiamo pensare che poi questo sentimento “tossico” che taglia le ali al progetto di D’Abundo, ovvero, tarpa le ali ai giovani di Ischia non abbia il suo vero effetto. Quello tossico.

DIAMOGLIA UNA À come l’ultima lettera di ultrà (in generale e come sinonimo di tifoso) Iervolino non ha sbagliato da solo. Siede, comodo, con quella grande parte di quelli che seguono i colori gialloblù che fanno gli ultrà e che non vedono. Ma questa è una qualità della nostra comunità che fa un po’ di crossing tra categorie e argomenti vari.

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