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venerdì, Marzo 29, 2024

Incontro in Municipio con i genitori di Giulio Regeni

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Coniugi Regeni agli studenti: “Non rinunciate mai a passioni e verità”

Leo Pugliese | “Sapervi vicini è per noi fondamentale: avvertiamo distintamente l’affetto di chi, come Procida, ci è accanto nella nostra battaglia per la verità e per la giustizia. Quel che possiamo suggerirvi è di andare avanti così, seguendo le vostre passioni e senza mai rinunciare a scegliere, né a dire no alle ingiustizie, di fronte alle quali non bisogna aver paura di dire no, tanto più in Paesi come l’Italia, in cui ci si può esprimere liberamente”.
Così Paola Deffendi e Claudio Regeni, genitori di Giulio, ai giovani dell’isola di Procida nel corso dell’incontro organizzato dal Comune, su iniziativa di Luigi Primario, consigliere alle politiche giovanili.

Insieme all’avvocato Alessandra Ballerini, i coniugi Regeni hanno risposto alle domande di una delegazione di studentesse dell’istituto superiore “Francesco Caracciolo-Giovanni Da Procida”, che hanno indossato i braccialetti e le spille che chiedono “Verità per Giulio”, accompagnati dalla dirigente scolastica Maria Saletta Longobardo, in un pomeriggio intenso e impreziosito da alcune letture del libro “Giulio fa cose”, edito da Feltrinelli. Sono trascorsi cinque anni dal rapimento in Egitto di Giulio Regeni, poi torturato e barbaramente ucciso dai suoi spietati aguzzini.

“Di lui ci manca tutto: ha lasciato un vuoto incolmabile, ci mancano la sua ironia e i suoi abbracci – ha detto Claudio – Ma proviamo a fare il nostro meglio per realizzare ciò che lui avrebbe voluto realizzare”.
“E’ stato un privilegio manifestare la nostra solidarietà ai Regeni – sottolinea Luigi Primario – plaudendoli per il modo in cui sono stati capaci di riversare ogni energia per ottenere la verità, per chiedere che vengano ricostruite le responsabilità e affermare così quel principio di giustizia che costituisce principio fondamentale di ogni convivenza umana e diritto inalienabile di ogni persona”.
All’incontro hanno preso parte anche rappresentanti delle associazioni Procida Coraggiosa e Procidart.18

La storia

L’omicidio di Giulio Regeni venne commesso in Egitto tra gennaio e febbraio 2016.

 Regeni era un dottorando italiano dell’Università di Cambridge rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir, e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo nelle vicinanze di una prigione dei servizi segreti egiziani. Il corpo presentava evidenti segni di tortura, al punto che la madre lo riconobbe «dalla punta del naso» e disse di aver visto nel volto martoriato del figlio «tutto il male del mondo».

In particolare nella pelle erano state incise, con oggetti affilati, alcune lettere dell’alfabeto, e tale pratica di tortura era stata ampiamente documentata come tratto distintivo della polizia egiziana; queste evidenze hanno messo subito sotto accusa il regime di al-Sisi.

L’uccisione di Giulio Regeni ha dato vita in tutto il mondo, e soprattutto in Italia, a un acceso dibattito politico sul coinvolgimento nella vicenda e nei depistaggi successivi, attraverso uno dei suoi servizi di sicurezza, dello stesso governo egiziano. Tali sospetti hanno costituito motivo di forti tensioni diplomatiche con l’Egitto. Secondo il Parlamento europeo, l’omicidio di Giulio Regeni non è un evento isolato, ma si colloca in un contesto di torture, morti in carcere e sparizioni forzate avvenute in tutto l’Egitto negli ultimi anni.

Le Indagini

Subito dopo il ritrovamento del corpo, il generale Khaled Shalabi (direttore dell’amministrazione generale delle indagini di Giza) dichiarò che Regeni era stato vittima di un semplice incidente stradale, smentendo inoltre che vi fossero tracce di proiettili o accoltellamenti. In seguito la polizia egiziana sostenne che l’omicidio poteva essere avvenuto per motivi personali dovuti a una presunta relazione omosessuale (Regeni tuttavia aveva una fidanzata) oppure allo spaccio di stupefacenti (Regeni tuttavia non aveva mai utilizzato alcuna droga, come confermato dall’autopsia), ma non mancarono ipotesi, non suffragate da alcuna prova, secondo cui Regeni sarebbe stato ucciso da appartenenti a qualche baltagiya, assoldati dagli organismi del controspionaggio egiziano.

Le autorità egiziane garantirono inizialmente una “piena collaborazione”, ma tale disponibilità fu presto smentita: gli investigatori italiani poterono interrogare pochi testimoni per alcuni minuti, dopo che gli stessi erano già stati interrogati per ore dalla polizia egiziana; le riprese video della stazione della metropolitana dove Regeni era stato visto per l’ultima volta furono cancellate; furono negati i tabulati telefonici del quartiere dove viveva Regeni e della zona in cui fu ritrovato il corpo.

La relazione ufficiale forense egiziana del 1º marzo 2016 (dossier di 91 pagine consegnato all’ambasciata italiana al Cairo il 2 marzo) attesta che il ricercatore italiano fu interrogato e torturato per un massimo di sette giorni a intervalli di 10-14 ore prima di essere infine ucciso, mentre i risultati dell’autopsia egiziana non sono ancora stati resi pubblici. L’uccisione sarebbe avvenuta circa 10 ore prima del ritrovamento del corpo. Il dossier delle autorità egiziane è stato giudicato carente e incompleto nell’informativa del 5 aprile del ministro degli esteri Paolo Gentiloni resa al Parlamento sul caso di Giulio Regeni, che inoltre accusa l’insufficiente collaborazione delle autorità egiziane.

Un rapporto di 300 pagine contenente i risultati dell’autopsia italiana è stato consegnato all’ufficio del pubblico ministero presso la Procura della Repubblica di Roma (competente per reati in danno di italiani all’estero) e smentisce precedenti indiscrezioni su segni di scosse elettriche somministrate ai genitali di Regeni.

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