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giovedì, Aprile 25, 2024

“Il picco? È stato superato”, lo studio e l’analisi del professor Giuseppe De Natale

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Ida Trofa | Milioni di italiani infetti, ma il picco del Covid-19 è passato. Sono questi, in sintesi, i risultati del lavoro condotto da un gruppo di studiosi italiani e in attesa di peer review e diretti dal professor Giuseppe De Natale .

“Mi sembra chiaro, dai dati di oggi, che la fase epidemica sia pressoché terminata. Per di più tenendo conto che quanto vediamo in termini di contagi, per quanto poco significativo, fotografa la situazione di circa 10 giorni fa; in termini di terapie intensive e ospedalizzazioni, entrambi in calo ormai da 3-4 giorni, la situazione di 10-12 giorni fa; e, in termini di decessi, di almeno 16 giorni fa… nel nostro lavoro, calcoliamo che entro il 10/4 circa, i nuovi contagi saranno praticamente zero. Il problema è che questa situazione non la vedremo direttamente il 10/4, ma almeno il 20/4, in differita di 10 giorni. Ecco perché, nonostante tutte le chiacchiere in giro, i modelli predittivi, purché siano seri e rigorosi, servono moltissimo ai decisori (ma solo a chi li capisce, o se li fa spiegare da qualcuno che sia in grado. Secondo i nostri calcoli – spiega Giuseppe De Natale, dirigente di Ricerca all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia – l’altissimo numero di decessi in Italia si spiegherebbe soltanto con un altissimo numero di contagiati, che ad oggi sarebbero tra circa 1,4 milioni e quasi 7 milioni”.

Lo studio parte dall’osservazione di un dato “anomalo” tutto italiano, quello della letalità apparente del coronavirus. Nel Belpaese il tasso è del 12% (sale al 16% in Lombardia), ma appare eccessivamente sovrastimato. Soprattutto se confrontato al dato cinese. Sono state prese in considerazione le ipotesi circolate a livello scientifico per spiegare una letalità maggiore in Italia. L’unica risposta logica, per il Teramo di de Natale è dunque la sottostima dei contagiati, che anche gli studi della Imperial College valutano intorno alle 6 milioni di persone.
Gli studiosi hanno supposto che il virus sia uguale a tutte le latitudini del globo e preso in considerazione un indice reale di letalità di base (IFR, Infection Fatality Ratio) compreso tra lo 0,2% (stima mondiale, basata sui dati tedeschi) e l’1% (registrato sulla nave Diamond Princess, unico caso “chiuso” in cui tutte le persone sono state sottoposte a tampone). Con questi dati hanno poi cercato di calcolare statisticamente l’evoluzione dell’epidemia. Prima domanda: perché concentrarsi sui morti e non sugli infetti, riportati ogni giorno alle 18 del capo della Protezione Civile? Semplice: il numero di test effettuati è troppo basso rispetto al totale della popolazione e i criteri variano di giorno in giorno e da Regione a Regione. “Per questi motivi – insiste De Natale – riteniamo i dati dei contagi assolutamente inadeguati, in base a criteri statistici minimamente affidabili, a descrivere realmente il fenomeno”.

Il team italiano si è quindi concentrato sull’unico dato “oggettivo ed omogeneo” a disposizione: il numero giornaliero di decessi, anche se non è da escludere una sottostima dovuta ai tanti decessi avvenuti in casa o nelle RSA senza aver diagnosticato il Covid-19. Analizzandone le curve di variazione in base a precisi criteri statistici e normalizzando il dato con il tasso di letalità (IFR), i ricercatori sono risaliti ai contagi totali: “Se consideriamo il tasso di mortalità allo 0,2% – spiega De Natale – avremo circa 7 milioni di italiani contagiati. Con il tasso all’1% della Diamond Princess, invece, scendiamo ad un minimo di 1,4 milioni”.

Ma non è tutto. L’analisi permette infatti di affermare anche che il picco sarebbe ormai passato. Certo: da giorni le autorità sostengono che “siamo” sulla cima e che ancora la discesa non è iniziata. Ma osservare i decessi permette di fotografare una situazione più indietro nel tempo rispetto ai dati ufficiali. “Studi internazionali dettagliati dell’evoluzione della malattia ci dicono che, tra il momento dell’infezione ed il possibile decesso, trascorrono in media 16 giorni; mentre i casi giornalieri rilevati seguono di circa 10 giorni il momento del contagio effettivo”, spiega De Natale. Ad essere in ritardo sarebbero dunque le rilevazioni della Protezione Civile, che basandosi sulla curva dei “casi totali” è come se stesse guardando una partita di calcio in differita. “Con il nostro sistema abbiamo stimato che il picco deve essere avvenuto intorno al 10 marzo, ossia esattamente nel periodo in cui è stato deciso il lockdown nazionale. Da quella data, le infezioni sono in calo e, usando il modello statistico della funzione logistica, otteniamo una proiezione in cui i nuovi contagi dovrebbero essere pressoché azzerati intorno al 10 aprile”.
Questo non significa certo che potremo tornare alla normalità. Questo andamento, aggiunge De Natale, “potrebbe sia ritardare di qualche giorno la data di azzeramento delle infezioni, sia spostare in alto la parte in saturazione della curva, ossia la proiezione del numero totale di contagiati definitivo”.

Il lavoro è aggiornato ai dati disponibili al 25 marzo, ma il trend in decisa diminuzione dei decessi che si sta verificando in questi ultimi giorni sembra confermare le proiezioni. Tuttavia, i vari studi pubblicati – come questo – possono essere utili per analizzare l’andamento del morbo. Ma non sono il vangelo. “Anche se ottenute con criteri statistici rigorosi – precisa De Natale – le stime devono ritenersi comunque ‘orientative’, e possono essere aggiornate in base al reale andamento dei dati dei giorni successivi”.

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