venerdì, Giugno 20, 2025

Il Monopolio della paura 1. Chi denuncia rompe un patto di silenzio. E paga il prezzo più alto

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EDITORIALE | C’è qualcosa di profondamente sbagliato in un sistema in cui chi sceglie di denunciare un abuso viene isolato, screditato, sorvegliato. Ma è esattamente ciò che è accaduto all’imprenditore che ha fatto partire l’indagine contro Angelo Marrazzo e la sua società TRA.SPE.MAR. Non ci sono applausi, né solidarietà diffusa. Solo silenzio. E, intorno, un vuoto pesante.

La sua scelta ha fatto tremare un intero equilibrio economico. Perché non ha solo denunciato un sopruso individuale, ma ha scoperchiato un patto di silenzi: una rete fatta di sottomissione economica, convenienze reciproche e paura strutturata. Una rete che funzionava proprio perché nessuno aveva mai parlato.

Le sue parole sono entrate negli atti come un corpo estraneo.
“Dopo il mio rifiuto di accettare le condizioni imposte da Marrazzo, ho subito una serie di controlli e ostacoli che non avevo mai avuto prima”, ha dichiarato.
E ancora: “Mi sono ritrovato isolato: i rapporti commerciali si sono diradati, alcuni clienti mi hanno chiesto di non lavorare più con me.”

A Ischia, sapevano tutti. Sapevano come funzionava il “metodo Marrazzo”. Sapevano che un monopolio si era formato non con la violenza fisica, ma con un potere grigio: fatto di pressioni, allusioni, controllo delle rotte e protezioni non dichiarate.
Eppure nessuno ha parlato. Nessuno si è accodato alla denuncia. Le amministrazioni hanno taciuto, gli imprenditori hanno scelto il disimpegno, molti testimoni hanno dosato con cautela le parole.

Denunciare, in un contesto così, non è un atto legale. È un atto politico, sociale, perfino culturale. È una frattura.

Per questo, la figura del denunciante non può essere lasciata sullo sfondo. Non è un comprimario. È l’inizio della storia. È il punto di rottura che rende possibile tutto il resto: le indagini, le intercettazioni, gli arresti. Ma è anche il bersaglio preferito del sistema che ha messo in discussione.

Dopo la denuncia, su di lui è piovuto di tutto: sospetti, controlli incrociati, un dossier anonimo confezionato per delegittimarlo. E anche controlli e sequestri per gli errori che aveva commesso e poi ha regolarizzato.

Capii che il mio nome era stato messo in una lista nera. Lo capii dai silenzi, dalle porte chiuse, dalle telefonate che non arrivavano più

E questo accade quasi sempre. Perché il potere criminale – anche quando è travestito da economia legale – ha un solo obiettivo: far capire che chi parla deve pentirsene.

Ma se il prezzo della denuncia resta l’isolamento, allora c’è qualcosa di profondamente fallito nel modo in cui proteggiamo chi decide di spezzare il silenzio.

Questo imprenditore non è un eroe, non è un martire. È un cittadino che ha fatto la cosa giusta. Ma che, per farlo, ha dovuto affrontare un intero sistema che aveva scelto di non vedere.

E quella, prima ancora della camorra, è la nostra sconfitta collettiva.

Autore

  • Gaetano Di Meglio

    Marito di Agata e papà di Martina, Valeria, Domenico ed Enzo, sono nato e vivo ad Ischia. Credo nella libertà degli uomini di poter essere liberi da ogni bisogno e necessità. Credo nel valore del giornalismo come espressione di libertà e difesa dei più deboli. Sono preconcetto contro ogni forma di potere. Ah, sono il direttore del giornale 😉

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