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martedì, Aprile 23, 2024

Il giudice: «Ad Antonello D’Abundo contestate accuse senza fondamento»

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Paolo Mosè | E’ stata definita dal giudice dell’udienza preliminare Enrico Campoli un’inchiesta monca, se non «posticcia» per quanto riguarda alcune verifiche per il secondo soggiorno di uno degli imputati in una località pugliese. Per mancanza dello stesso denunciante di avvalorare le sue accuse con il deposito di una documentazione che potesse confermare il mosaico accusatorio. Per alcuni difensori è stata una operazione “pezzottata” che ha fatto cadere inesorabilmente prima l’accusa di concussione sancita da diverse pronunce del tribunale del riesame e della stessa Suprema Corte di Cassazione. E la modifica dell’accusa così come voluta dal pubblico ministero, con il coinvolgimento anche di chi si riteneva vittime di vere e proprie minacce estorsive, si è sbriciolata con la sentenza del giudice di merito con il rito abbreviato che ha assolto da tutti i capi d’accusa Antonello D’Abundo. E si badi, conformemente alla stessa richiesta del pubblico ministero, che dapprima ne aveva chiesto il rinvio a giudizio, cambiando poi opinione con il rito abbreviato richiesto dall’avv. Luca Migliaccio che ha difeso il D’Abundo. Presentando un’articolata memoria in cui sono stati riportati tutti i passaggi dell’inchiesta e sottoponendo al gup Enrico Campoli elementi e documenti che dimostravano l’esatta ricostruzione dei fatti elencati nella fase delle indagini preliminari e transitati poi nell’ordinanza di custodia cautelare agli arresti domiciliari.

Tutti e tre gli imputati comunque sono usciti definitivamente dalla pericolosa tagliola dell’accusa di induzione indebita a dare o promettere utilità. Uno scambio di favori tra le parti che non si è materializzato. Coinvolgendo un pubblico ufficiale, in questo caso Giovangiuseppe Ferrandino quale sottufficiale della Capitaneria, e lo stesso albergatore Ciro Castiglione, il quale da vittima è diventato poi imputato ed entrambi prosciolti con l’udienza ordinaria dall’accusa. Il giudice ha diversificato le posizioni dei tre ex imputati depositando una motivazione per il rito abbreviato per il D’Abundo ed un’altra per Ferrandino e Castiglione che hanno scelto quello ordinario.

I RAPPORTI TRA GLI IMPUTATI

Nella sentenza del D’Abundo il giudice entra nel merito della vicenda e che riguarda i rapporti che sono intercorsi tra i tre e riguarda altrettanti aspetti: nel primo caso questa presunta induzione legata al pagamento delle vacanze del Ferrandino in una località pugliese; dell’acquisto di un televisore ed infine di una violazione del segreto d’ufficio. Il giudice in questa sentenza ben articolata fa una ricostruzione di ciò che è accaduto nella fase primordiale dell’indagine soffermandosi soprattutto su ciò che è accaduto dopo l’esecuzione dell’ordinanza cautelare agli arresti domiciliari, adottata per i soli Ferrandino e D’Abundo per il reato di concussione. Sulle pronunce per ben due volte del riesame e in altre tre occasioni della Suprema Corte di Cassazione, che hanno escluso la sussistenza di questo grave reato. Richiamando alcuni passaggi nodali per dire sostanzialmente che non vi era una vittima, che comunque tutto si sarebbe dovuto “semplificare” nella successiva fase, ovverosia nel merito dinanzi ad un giudice. Ed è quello che è accaduto con la richiesta di rinvio a giudizio. Ed il gup Campoli ha svolto proprio questo compito e prima di esprimere i suoi convincimenti, ha richiamato ciò che ha riferito il D’Abundo subito dopo essere venuto a conoscenza del suo coinvolgimento. Sottoscrivendo delle dichiarazioni sin dall’interrogatorio di garanzia: «Il D’Abundo Antonello, per parte sua, confermava di avere ricevuto dal Ferrandino il denaro in contanti e di essersi rivolto al Castiglione, – all’insaputa del primo -, per ottenere condizioni più vantaggiose attesi i suoi intensi rapporti con i tours operators pugliesi, per poi consegnare i vouchers ricevuti da quest’ultimo al suo amico;

il D’Abundo Antonello rappresentava, altresì, che i versamenti in contanti da egli richiesti al Ferrandino erano giustificati dal fatto che il Castiglione ne necessitava per pagare in nero i propri dipendenti e che al primo degli stessi aveva assistito anche suo zio, D’Abundo Vito, il quale era stato poi testimone anche della successiva consegna, da lui operata, in favore del Castiglione;

sentito a sit il D’Abundo Vito confermava la ricostruzione fattuale da ultimo menzionata, sia relativamente all’incontro tra il Ferrandino ed il D’Abundo Antonello, con la consegna della busta contenente il denaro, che del successivo passaggio curato da quest’ultimo in favore del Castiglione Ciro;

sulla base di questi elementi il Tribunale del riesame annullava il titolo custodiale in quanto, pur qualificando il fatto ex art. 319 quater cod. pen., riteneva che te dichiarazioni del Castiglione fossero gravemente inficiate dalle acquisizioni sopra evidenziate atteso anche che quest’ultimo, in relazione al secondo dei soggiorni, non aveva prodotto alcuna documentazione né il materiale intercettizio (e quello oggetto di una specifica registrazione) poteva dirsi risolutivo al riguardo atteso che “la richiesta rivolta dal D’Abundo al Castiglione di un televisore per un non meglio precisato amico” – in quel momento, peraltro, non oggetto di alcun autonomo capo d’imputazione a differenza di quanto avverrà, in seguito, con l’esercizio dell’azione penale sub lett. b) -, era sicuramente riconducibile solo al primo, tanto che lo stesso dimostrerà di essere l’unico effettivo possessore, mentre la registrazione dell’incontro tra i tre (svolta con il cellulare in uso al Castiglione) risultava, in una prima parte, circoscritta al colloquio tra il Castiglione ed il D’Abundo in merito ad altre vicende di analoga natura mentre al momento del subentro del Ferrandino i contenuti deviavano verso aspetti certamente rivelatori del segreto d’ufficio, – da cui il decreto ex art. 429 cod. proc. pen. emesso da questo giudice nei confronti del pubblico ufficiale -, ma non attinenti alla induzione indebita essendo escluso ogni riferimento ai viaggi ed ai corrispettivi pagamenti di favore».

IL TELEVISORE

E’ una sorta di ricostruzione dei fatti e il primo passaggio interessante ha riguardato questo famoso televisore, il cui acquisto e utilizzo è stato molto dibattuto da chi ha governato le indagini e su cui il giudice non si sofferma più di tanto, ritenendo che nella sostanza è stato acquistato ed utilizzato dallo stesso imputato e quindi non poteva essere definito un qualcosa rientrante in un’attività illecita più ampia: «Posponendo l’analisi dei diversi capi d’imputazione appare necessario, innanzi tutto, escludere la sussistenza del capo sub lett. b) – art. 346 cod. pen. – alla luce del fatto che la condotta contestata, dato il tenore dell’imputazione che declina l’agire illecito in capo ad un amico (?) mai individuato, una volta esclusa la riconducibilità del colloquio captato ad un millantato credito del D’Abundo relativamente alla posizione del Ferrandino, rimane non solo incerta nella sua fattualità, e del tutto priva di riferimenti ad un qualsivoglia,; pubblico ufficiale, ma anche smentita dalla circostanza documentale che ili televisore venne acquistato dall’imputato rimanendo esclusivamente nel suo possesso».

In poche battute è stato liquidato ciò che ruotava intorno a questo televisore, sequestrato e poi riconsegnandolo al D’Abundo anche prima che venisse ufficializzata la richiesta di rinvio a giudizio, tant’è che il 55 pollici è ritornato ad occupare la parete della camera da letto dell’imputato.

L’INDUZIONE INDEBITA

Più articolata, invece, l’analisi del reato per così dire più grave inerente all’induzione, che si materializzava sul pagamento di queste vacanze e che la difesa del Ferrandino ha molto dibattuto chiedendo insistentemente l’incidente probatorio. Per visionare ciò che era custodito nel computer, nel palmare e anche i telefonini cellulari. A dimostrazione delle modalità delle vacanze legata alle prenotazioni e dei rispettivi pagamenti. E su questo il giudice esclude in modo chiaro e netto ogni responsabilità in capo a D’Abundo, che già nella primissima fase aveva ricostruito cronologicamente i fatti su quest’aspetto: «Alla luce di tale premessa non può che sottolinearsi come l’incidente probatorio, – che ha cristallizzato l’acquisizione documentale nel possesso del Ferrandino al momento genuino della sua restrizione custodiate -, ha permesso modo di assumere in decisione una messe di dati del tutto complementare alla tesi difensiva del suddetto, travolgendo, di conseguenza, anche l’aspetto concorsuale in capo al D’Abundo.

In particolare, dalle memorie dei dispositivi elettronici in uso al Ferrandino è stato possibile trarre una più che esaustiva documentazione (foto di banconote, mail, messaggi) del tutto incompatibile con un acquisto dei viaggi riconducibile ad un’elargizione diretta del Castiglione in favore del suddetto laddove, invece, essa dimostra, e ben al di là di ogni ragionevole dubbio, che quest’ultimo, a mezzo del D’Abundo, – che poi si rivolgerà, all’insaputa del primo, al Castiglione per il prezzo di favore che lo stesso poteva conseguire e senza che ciò possa in alcun modo rilevare ai fini della induzione debita -, trattò, in prima persona, gli stessi finanche fotocopiando le banconote che andava a prelevare per effettuare il pagamento (vedi, sul punto, l’eloquente scambio di messaggi dell’l 1/6/2016 in cui il D’Abundo indirizza precise direttive al Ferrandino in ordine alla necessità dei contanti)».

LE DICHIARAZIONI DI CASTIGLIONE

E di seguito arriva il passaggio più interessante, anche per il modo con cui il giudice va a valutare certi passaggi investigativi e certe dichiarazioni rese per avvalorare una concussione, per inchiodare alle proprie responsabilità gli indagati che erano in quel momento in una fase di estrema difficoltà: «Tali dati documentali, – assolutamente genuini nella loro portata in quanto acquisiti agli atti allorquando il Ferrandino nulla sapeva della restrizione custodiale che gli stava per essere applicata -, assumono ancor più pregnanza laddove raffrontati con quelli prodotti dal Castiglione in quanto gli stessi, nonostante l’infinito tempo concesso, sono rimasti del tutto monchi – se non posticci – riguardo al secondo dei soggiorni contestati: non può, sul puntò, non evidenziarsi che in alcun modo la tesi difensiva si infrange con la circostanza che i pacchetti viaggio siano stati acquistati dal Castiglione, su incarico del D’Abundo, a mezzo delle transazioni tra la sua società e quella pugliese atteso che ben può tale situazione non solo darsi per assodata ma anche trovare plausibile spiegazione in quanto riferito da quest’ultimo sia in merito alla necessità dell’uso dei contanti e sia riguardo al fatto di conseguire condizioni più vantaggiose su cui lucrare, anche in danno del suo “amico” Ferrandino».

E sottolinea più avanti che ciò che dichiarava ed accusava il Castiglione non ha trovato per nulla corrispondenza, anzi è stato smentito: «Alla luce delle emergenze processuali sin qui svolte non può che sottolinearsi come la convergenza delle dichiarazioni rese sin dall’immediatezza da parte del Ferrandino e del D’Abundo, – pur in astratto sospettabile di essere interessata -, ha trovato nel materiale informatico estratto dai dispositivi elettronici (a mezzo d’incidente probatorio) una oggettiva, e genuina, conferma mentre, di contro, le affermazioni del Castiglione Ciro non hanno il conseguito dalle acquisizioni documentali alcun conforto, se non addirittura una smentita.

Il dato fondamentale di tutta la vicenda risulta, difatti, essere la provenienza della provvista per l’acquisto dei soggiorni presso il villaggio vacanze, circostanza quest’ultima su cui le emergenze processuali dimostrano, incontrovertibilmente, la riconducibilità in capo al solo Ferrandino mentre quanto avvenuto successivamente ad essa, e cioè il comportamento del D’Abundo Antonello, che effettivamente risulta essersi rivolto al Castiglione, fuoriesce totalmente dalla sfera fattuale del pubblico ufficiale e non può svolgere alcun peso probatorio né che il Castiglione abbia transatto, effettivamente, tali acquisti investito dal D’Abundo né che il contenuto della registrazione del colloquio sopra menzionato».

E per quanto riguarda quel famoso incontro e sull’ipotesi di accusa di violazione del segreto d’ufficio, il giudice osserva che in «capo al D’Abundo Antonello alcun profilo di concorsualità in quanto non solo quest’ultimo non è titolare di alcun potere in proposito ma non v’è alcun elemento, di qualsivoglia natura, che permetta di ipotizzare una pregressa conoscenza dell’imputato in merito a quanto dirà il pubblico ufficiale nell’incontro “clandestino” concordato e, soprattutto, dalla lettura dei contenuti del colloquio, emerge l’assoluta assenza di ogni interferenza dello stesso in merito alle inequivocabili indicazioni fornite dal Ferrandino al Castiglione riguardo ai controlli che sarebbe andato a svolgere presso la struttura alberghiera dello stesso».

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