
Che l’iniziativa imprenditoriale privata debba prescindere dal ruolo pubblico rivestito da ciascuno è un dato di fatto sia in andata che in ritorno. Intendo, cioè, che se la moglie di Cesare dev’essere al di sopra di ogni sospetto, è altrettanto vero che chiunque partecipi, direttamente o indirettamente, alla vita amministrativa di un ente pubblico non debba rinunciare ad ogni costo al proprio lavoro o professione, se non nella misura in cui tali esercizi non sottraggano illegalmente tempo o risorse all’ente in questione o approfittino del ruolo per trarne indebito vantaggio.
Non mi appassiona più di tanto la storia che il nostro direttore ha denominato col vezzeggiativo di “Zizzogas” e che avrete senz’altro seguito nei giorni scorsi sulle due edizioni di questo giornale. Credo, infatti, che sia pleonastico riconoscere all’iniziativa di un privato che, per giunta, non ricopre ruoli ufficiali all’interno dell’amministrazione comunale interessata, la legittima possibilità di concretizzarsi nel contesto di mercato in cui egli sceglie di operare e che, gioco forza, coincide col suo paese natale e di residenza. Il discorso cambia, però, allorquando venisse dimostrato che, pur di favorirlo, un’amministrazione comunale intenda fare le classiche carte false, anziché rispettare regole e trafile proprie non solo per i comuni mortali, ma indistintamente per tutti i cittadini aventi diritto.
E’ esercizio altrettanto disonesto, a parer mio, quello di subordinare la possibilità di un privato di accedere a tale diritto a mo’ di privilegio, per giunta solo ed esclusivamente se appartenente al “bottone”, rendendolo mera merce di scambio o motivo di scontro pubblico tra fazioni. E’ una logica antiquata che ha portato la politica italiana e la società stessa ad un livello di degenerazione quasi irrimediabile, lasciandole impantanate nelle sabbie mobili del clientelismo e dello scadimento istituzionale.
Smettiamola, una volta per tutte!