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venerdì, Marzo 29, 2024

IL CERVELLO È UNA SFOGLIA DI CIPOLLA. Un riflessione di Sandra Malatesta sulla strage di Uvalde

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Questa frase la sentivo spesso da bambina quando nei nostri vicoli, qualcuno usciva di senno e vagava senza meta, magari con una bottiglia di vino sottobraccio. E io ascoltavo le donne che dicevano queste parole e mi convincevo che non avrei mai amato la cipolla se quei signori erano ridotti così. Poi successe che all’università studiai il sistema nervoso e il cervello con le sue membrane protettive dette meningi e ripensai a quelle parole.
Perché, se uno avesse fatto cose strane avrebbe avuto il cervello come una sfoglia di cipolla?
Allora capii che, come la cipolla, è fatta di strati sovrapposti che man mano che vengono tolti, alterano la sua forma e il suo colore, così anche il cervello, se di colpo manda strani messaggi, allora, forse, sta “sfogliando” le meningi (per così dire) e tutto questo velocemente.

La pazzia è sempre esistita e io provo tenerezza se penso a quante persone fino a tanti anni fa finivano in manicomio per semplici depressioni post partum o cambiamento di umori, quando invece oggi si possono curare con farmaci adatti, psicoterapia e amore.
Ma quello che è accaduto in America mi fa pensare che oggi la pazzia si è evoluta come tutti noi. Quando un ragazzo di 18 anni, per il suo compleanno, si auto regala fucili, pistole e centinaia di munizioni, per poi andare nella scuola elementare che lui stesso aveva frequentato e fare una strage di bambini e di due maestre, allora il cervello non può essere considerato più una sfoglia di cipolla che in pochi secondi si sbuccia e va via. No, il cervello diventa di colpo rigido, fermo.
Quel ragazzo non ha avuto un raptus, non ha sfogliato le meningi del suo cervello in un attimo, quel ragazzo ha programmato tutto in modo lucido e la pazzia qui non c’entra. Un ragazzo chiuso, solitario, di poche parole, che magari per anni non ha comunicato con nessuno, pur forse volendolo fare, che va e spara prima sua nonna e poi quei poveri bambini innocenti e poi alle due maestre hanno cercato di difendere, non è pazzo, è un esaltato e disturbato ma sicuramente non pazzo.
Mi viene quasi una voglia di rispettare le poche persone chiamate pazze che ho conosciute da bambina. Erano dolci nel loro vivere fuori dalla normalità.
Chi metteva un grande fiocco sulla testa rasata e mi diceva: “Guarda che belle trecce ho”.

Chi cercava 20 lire, chi cantava sempre la stessa cosa, chi ogni tanto gridava senza motivo. A quel tempo alcune famiglie decidevano di tenere queste persone in casa perché di solito non erano pericolose, ma si diceva che fossero pazze. Con grande rispetto mi inchino a una Alda Merini e a tanti e tante come lei che hanno subito cure violenti e, a volte non necessarie, e mi sento di urlare che la pazzia esiste fino a che i normali si vestiranno di autorità e penseranno che solo loro possono vivere bene e liberi isolando chi, magari, vuole vivere per scelta in un modo che non sa di normalità.
Così so che se una bambina è cresciuta giocando insieme a chiunque volesse giocare con lei, sarà una donna pronta a capire e a non sentirsi per forza normale se normale vuol dire fare quello che si deve fare per uniformarsi. E quella bambina sono stata io e tutte le mie amiche e i miei amici.
La nostra “chiorma” era formata da bambini e bambine diversi, alcuni solitari, introversi, più lenti ma anch’essi inseriti perfettamente con tutti. Sempre con noi e sempre allegri e sempre protetti fino alla fine. Quei due miei amici di cui uno morto dieci anni fa, sono stati bambini felici e grandi tranquilli.
Si, hanno anche loro vagato sui pullman o per strada, chiedendo cento lire, e facendo rumore con quegli zoccoli di legno quasi per dire sono io, ma non hanno mai pensato di far male a nessuno. Allora perché finalmente, non si cerca di capire che tanti bambini non sono più felici? Perché si dice che sono solitari? Perché in certi posti si possono comprare armi facilmente?
Tutto è cambiato e quei brutti riformatori in cui tanti erano diversi e trattati in modo duro, oggi per fortuna non esistono più, ma io mi sento in colpa ogni volta che succedono tragedie come quella di pochi giorni fa. Sono quasi sicura che troppi grandi non hanno tempo per i piccoli e che troppi piccoli non hanno tempo per stare soli per strada o su una spiaggia a giocare sereni.
Quel focolare che ci teneva tutti insieme a parlare a raccontare, non esiste più. Il focolare ognuno lo tiene nella sua stanza, con la sua TV, con il suo smartphone, con la sua porta chiusa, mentre spesso non si parla più, non si discute più. Comunque, ritengo, purtroppo, che tutto questo è una conseguenza dell’evoluzione dei rapporti umani che porta all’isolamento. Non voglio con questo dire che le generazioni precedenti a quella attuale siano cresciute meglio, ma che sono cresciute in un ambiente con condizioni diverse che purtroppo non è ripetibile. Credo che l’unica possibilità per evitare questi eccessi violenti e tragici sia quella di trovare degli adeguati correttivi che prendano il posto del “focolare” di una volta ed evitare che una strana solitudine porti il cervello a essere quella sfoglia di cipolla di cui sentivo parlare da piccola e che in pochi attimi si sfogli quasi in una forma di difesa, rendendoci diversi “introversi” “esaltati” o, come si dice ancora oggi, pazzi.

www.ildispari.it

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