Il caso Gioelier, Emanuele Palumbo, al Festival di Sanremo e la sua canzone “I p me, tu p te” è una doppia occasione che non mi posso lasciar perdere. Una doppia occasione che mi permette, non solo di chiarire una scelta che avevo fatto in passato e che, spesso, ha fatto arrabbiare (con mio sommo gaudio, tra l’altro) i benpensanti locali ma anche di poter calare il significato della Canzone del giovane “secondino”, alla realtà politica locale. Faremo due piccoli viaggi. Il primo nell’uso del neonapoletano (ora schiatteranno ancora di più!) e il secondo, invece, di fare un po’ di ragionamenti attorno ai rapporti che influenzano e modificano le scelte delle nostre amministrazioni.
Nelle settimane scorse avrete sicuramente letto le ampollose elucubrazioni mentali di quanti, leggendo il testo della canzone di Emanuele Palumbo, hanno invocato la grammatica napoletana, la forma, le elisioni, le troncature, le vocali che non si leggono e tutto il repertorio, giusto, della lingua napoletano. Così lingua e così difficile che è difficile anche trovare quale sia la forma corretta.
Spesso, con i nostri titoli, abbiamo fatto la stessa scelta di Gioelieri, abbiamo preferito scrivere più vicino alla pronuncia e più lontano alla forma corretta di come si sarebbe dovuto scrivere correttamente. Qualche non lo abbiamo fatto in “secondiglianese” ma abbiamo usato una terza via, quella di mezzo, provando, per quanto possibile, a rispettare qualche “regola”.
Quello che conta e che va evidenziato è la comprensione e la velocità di identificazione del senso. E’ vero, non è sbagliato ma è, al tempo stesso, più efficace. E certe volte l’efficacia serve più della correttezza. Nel caso di Gioelier, in verità, il problema non si pone. Alla fine, i testi della canzone pubblicati da “Sorrisi e Canzoni Tv” non hanno nessuna visibilità. Storcere il naso e fare post per una tacita dimostrazione di verità è stata solo un’occasione per molti di mettersi sul cerasiello di un ragazzo di 23 anni.
Questa non è una scusante, anzi. A 23 anni si deve avere la capacità di sapere certe cose ma è anche vero che 23 anni, significa anche, la possibilità di misurare sulla time lime della vita dove posizionarsi. E Palumbo, così come le scelte che hanno ispirato i nostri titoli, si posano dopo gli effetti di Gomorra. Dopo lo sdoganamento di certe parole come “Vien a t piglià u perdon” oppure “C veng mocc”. E’ vero che la grammatica non cambia, è vero che le forme lessicali vanno rispettate, ma è anche vero che bisogna calare tutto nel tempo in cui si vive.
I tempi cambiano e se prima le canzoni napoletane viaggiavano su 45 giri e musicassette, oggi viaggiano su Spotify e Amazon Music. Ultimo ma non ultimo, diciamocelo, ha ragione Gioelier. Lo capiscono in tutta Italia. Senza accenti, senza troncature e senza elisioni. E ora veniamo alla politica alla locale e alle parole della canzone di Sanremo.
Il titolo “I p me e tu p te” è la sintesi perfetta di alcuni rapporti istituzionali.
Partiamo dal comune di Ischia. “Nun less pnzat maij, Ca all’inizij ra storij er gia a fin ra storij p nuij”. Non avevo pensato mai che l’inizio di questa storia, fosse già la fine”. Sono un po’ le parole che Enzo Ferrandino potrebbe cantare a Ida De Maio.
“Simm duij estranei ca s’incontrano” è quello che ancora il sindaco di Ischia canta al suo vicesindaco. Tra Enzo e Ida, purtroppo, l’idillio iniziale è finito da tempo. Le incursioni (ormai terminate) di Gigi e alcuni errori e incomprensioni caratteriali da entrambe le parti hanno reso il rapporto tra primo e secondo cittadino quasi irrecuperabile. Vince ancora, però, la stima per le persone. Meno quella tra politici. Vince la stima reciproca di persone per bene (guai a metterlo in discussione, sia per l’uno sia per l’altra!). Vince la coerenza di visione e no, purtroppo, quella politica. Le colpe stanno a metà proprio come le ragioni. Chi tifa per Ida, racconta che il momento più difficile sia stata la questione che ha visto la revoca dell’assessore a Paolo Ferrandino. Enzo, e non solo, infatti imputano a Ida una troppo facile frequentazione con i “nemici” della maggioranza. Paolo Ferrandino, Ottorino Mattera e qualche altro di calibro inferiore. Ma alla base di questa “separazione in giunta” ci sarebbe anche il non mai troppo evidente feeling tra Enzo Ferrandino e Alessandro Migliaccio. Un cavalier servente da oscar candidato dal sindaco in lista con Ida De Maio. Ida e Enzo, però, anche rispetto al passato pre elettorale, insieme, intonano “E stev pnzann a tutte le cose che ho fatto. E tutto quello che ho perso, non posso fare nient’altro”.
Altri due separati al comune che cantano “I p me, tu p te” sono Stani Verde e Dino D’Abundo. Il sindaco di Forio e il suo “alfiere” (in altri casi abbiamo usato parole diverse) hanno perso la sintonia. Dino vive un momento di raffreddamento, salta le cene per fare pace e non riesce a trovare più la via Genovino. Quella di Stani e Dino è una storia politica che viene da oltre un quinquennio di opposizione contro Francesco Del Deo e Mario Savio. Un feeling politico che si è interrotto all’indomani dell’elezione e che, durante i primi mesi di amministrazione, è diventato più distante.
In questa stessa categoria non possono essere inseriti, restando a Forio, i rapporti che il sindaco di Forio ha con Enzo e Nello Di Maio. Un rapporto che non sboccia soprattutto perché i due consiglieri non riescono a recidere i legacci con il passato. Un passato alimentato dalle strategie e dalle macchinazioni politiche di Franco Regine, messe in stand by da Francesco Del Deo e spezzate e annullate da Stani Verde.
Situazione diversa, ma sempre di separati in consiglio comunale è quella che si vive a Casamicciola. Da una parte ci sono Ignazio Barbieri e Annalisa Iaccarino, dall’altra parte, invece, il resto della corazzata (sempre più “corazzata Potëmkin” o come dice Fantozzi “Kotiomkin”) di Giosi Ferrandino. Annalisa e Ignazio non fanno cadere la palla a terra. La “senatrice” si agita (anche con qualche successo) mentre Ignazio fa il portiere. Nel senso che apre le porte. Con Barbieri è una via vai continuo negli uffici ad accompagnare cittadini in cerca di risposte. Gli altri? Gli altri provano a prendere la palla ma non ci riescono. Un po’ è Giosi che fa il suo gioco e basta, un po’, invece, è il loro peso specifico vicino allo zero che li lascia a guardare e a fare un abuso di Buscopan per lenire il dolore allo stomaco e quel senso (non tanto lato) di girare a vuoto.
A Lacco Ameno, invece, il Barone sale in cattedra. E non c’erano dubbi che Giacomo si facesse scappare l’occasione per prendere la palla al balzo. Oltre al post piglia click a favore del giovane cantante napoletano (lo leggete nel box insieme a quello di Giosi Ferrandino), il sindaco a cui piace cantare e recitare, vive la sua “i p me, tu p te” rispetto a tutti gli altri. Anche la storia del Porto, ad esempio, è una partita che Giacomo gioca solo in consiglio comunale. Poi, non c’è traccia del Barone. E questo lo sanno bene anche gli altri della giunta e del consiglio comunale. Il sindaco non c’era durante la pagliacciata di qualche agosto fa sul porto e non c’è tra quelli che devono mediare davanti all’istituto attivato da Perrella. Chissà, forse in qualche modo, a Pascale piace di più intonare un altro verso di Gioelier “E quant chiov e pcchè se dispiaciut p me e p te”. E non è escluso che il Barone, leggendo questi versi, pensi a Domenico De Siano e a quella storia che mai avrebbe pensato si sarebbe esaurita così come si è esaurita.
Non c’è traccia di separati in casa a Barano e a Serrara Fontana. Irene e Dionigi possono cantare altre canzoni del Festival. Quali? Beh, quelle che parlano di amori che vanno a gonfie vele e non destano problemi. I p te, tu p te.