Il 10 giugno il Consiglio di Stato si pronuncerà su una controversia destinata a lasciare il segno nella giurisprudenza demaniale italiana. Al centro dello scontro c’è l’Hotel Pagoda, una storica struttura turistica affacciata sul mare di Ischia, la cui concessione demaniale marittima è stata revocata dal Comune isolano con un provvedimento firmato il 3 marzo 2025.
A opporsi a quella decisione è la società Tourist Italia s.r.l., attuale gestore dell’hotel, che ha impugnato la revoca sostenendo che essa sia fondata su rilievi tecnicamente errati e su presupposti giuridici non sostenibili.
La vicenda prende le mosse da un sopralluogo congiunto tra Comune e Capitaneria di Porto, avvenuto il 23 settembre 2024, durante il quale gli ispettori accertano che alcune porzioni del complesso alberghiero – camere, terrazze, solarium, una piscina – insistono su due particelle catastali (la 1012 e la 1013) intestate al demanio marittimo, secondo quanto risulta dal Sistema Informativo Demaniale, il cosiddetto SID.
Da lì in avanti, la reazione amministrativa è immediata: in rapida successione arrivano l’inibizione dell’agibilità, l’ordinanza di demolizione, il blocco dell’attività e infine la revoca della concessione marittima. Una misura pesante, motivata con riferimento all’art. 47 del Codice della Navigazione, che consente la decadenza per inadempienza agli obblighi derivanti dalla concessione o da altre disposizioni normative.
Il Comune di Ischia difende la legittimità dell’intero impianto sanzionatorio. Secondo l’amministrazione, le opere realizzate nell’area contestata non solo ricadono su suolo pubblico, ma risultano prive di ogni autorizzazione urbanistica, paesaggistica, sismica e igienico-sanitaria. Anche ipotizzando, in via subordinata, che le particelle fossero private, le trasformazioni edilizie realizzate senza titolo configurerebbero comunque una violazione grave, tale da giustificare la revoca della concessione per difetto dei requisiti oggettivi. A ciò si aggiunge un elemento di ordine funzionale: per il Comune, l’intero complesso – dalla terrazza sul mare alla struttura principale – costituisce un’unità organica e operativa. Le aree contestate sarebbero parte integrante dell’offerta turistica, e dunque l’irregolarità urbanistica riscontrata in una parte dell’immobile, seppur formalmente esterna alla concessione, influenzerebbe l’intera gestione.
Tra accuse di abuso edilizio, difese fondate su atti notarili e vecchie planimetrie, la partita è ancora aperta
Diametralmente opposta la lettura proposta dalla società Tourist Italia, che nella sua articolata memoria difensiva contesta radicalmente l’impostazione comunale. In primo luogo, la società ritiene che le aree oggetto di contestazione siano di proprietà privata e non demaniale. A sostegno di questa tesi sono stati prodotti atti notarili risalenti agli anni Settanta, autorizzazioni edilizie rilasciate nel 2019, e soprattutto una perizia tecnica che certifica come le strutture in questione siano costruite a oltre dieci metri sopra il livello del mare, su un costone roccioso verticale non accessibile. Inoltre, un verbale redatto nel 1988 da più autorità tecniche – Capitaneria, Genio Civile, Ufficio Tecnico Erariale – avrebbe individuato il confine del demanio al piede della scogliera, ben lontano dalle porzioni contestate.
La società accusa il Comune di aver agito in base a una rappresentazione meramente digitale e automatica dei confini, come quella generata dal SID, senza attivare un formale procedimento di delimitazione come prescritto dall’art. 32 del Codice della Navigazione. Tali rilievi, secondo i difensori della Tourist, non hanno valore giuridico probante e non possono fondare un provvedimento tanto grave quanto la decadenza. Ma c’è di più. Le particelle sulle quali ricade la concessione demaniale revocata – spiegano i legali della società – sono altre: le n. 1014 e 1025, aree utilizzate per attività di balneazione. Le porzioni contestate si troverebbero al di fuori del perimetro della concessione e quindi non potrebbero, nemmeno volendo, costituire un inadempimento rilevante ai fini della revoca.
Sul piano procedurale, la Tourist Italia lamenta poi una sostanziale violazione del principio di partecipazione: le osservazioni presentate durante il procedimento non sarebbero state considerate adeguatamente, né tantomeno confutate, a fronte di un provvedimento finale identico alla proposta iniziale. Un travisamento dei fatti, secondo la difesa, che comprometterebbe la validità dell’istruttoria.
Nonostante tutto, nel tentativo di ridurre il danno e di non compromettere la stagione turistica, la società ha depositato il 10 aprile scorso una SCIA di agibilità parziale, escludendo i locali contestati e riaprendo la struttura dal 23 aprile, riassumendo il personale e riattivando le prenotazioni. Ma anche questa iniziativa è finita nel mirino del Comune, che ha giudicato inammissibile il tentativo di parziale riapertura, ritenendolo una manovra elusiva e priva di validità. Il TAR Campania, dal canto suo, ha respinto l’istanza cautelare con ordinanze sfavorevoli alla società.
Ora, la parola passa al Consiglio di Stato. I giudici di Palazzo Spada saranno chiamati a stabilire se la revoca della concessione debba essere sospesa, in attesa del giudizio definitivo, o se invece vada confermata la linea del Comune. Ma al di là del destino dell’Hotel Pagoda, la vicenda porta con sé interrogativi ben più ampi: può una mappa digitale determinare i confini tra pubblico e privato? L’utilizzo di un’area priva di titolo edilizio può giustificare la revoca di una concessione su un’altra? E soprattutto, quanto conta oggi il principio del legittimo affidamento, quando i confini cambiano in silenzio, tracciati da satelliti e algoritmi?
La risposta, forse, arriverà proprio lunedì. Nel frattempo, Ischia attende. Con i suoi lavoratori stagionali, con i turisti in arrivo, con gli operatori del settore e con un occhio sempre più attento ai rapporti, spesso fragili, tra territorio, legalità e sviluppo economico.