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Gli Antonio, il Macello e il limbo dei preti | #4WD

By Redazione Extra

December 16, 2019

La Parrocchia del Buon Pastore, strategicamente, rappresenta una comunità cattolica di rilevante importanza, se si considera che l’abbraccio tra le due Via Mazzella (Leonardo e Michele) comprende anche la Chiesetta del Crocifisso e, di conseguenza, tutte le famiglie tra le zone del cosiddetto “Vecchio Macello” e della “Piripissa”.

Don Agostino Iovene fu il primo parroco di quella Chiesa e rappresentò una specie di Vinavil tra la gente del posto e il culto. Con il suo innegabile saper fare, con i suoi proverbiali bastone e carota sempre disponibili all’occorrenza, riusciva a catalizzare l’attenzione e il rispetto di tutti, tanto entrando nel “Bar Primavera” dell’epoca a dare lo scappellotto al fedele irriverente che giocava a carte quanto ospitando in sacrestia la famiglia rimasta senza tetto e lasciando che, talvolta, la celebrazione della messa domenicale venisse “inebriata” da un insolito profumo di coniglio all’ischitana rosolante nel “tiàno”. La sua opera pastorale fu talmente apprezzata che quando il compianto Vescovo Pagano decise il suo trasferimento a Santa Maria delle Grazie in San Pietro, una folta delegazione della gente del Macello chiese udienza in Episcopio per protestare vivacemente, sentendosi rispondere con una frase lapidaria del tipo: “La mia decisione non cambia. Per voi, più che un parroco, servirebbe un padre missionario”.

E fu il tempo di Don Antonio Angiolini! Lo conobbi alle scuole medie, per qualche supplenza come insegnante di religione. Fece dono a me e ai miei compagni di alcune cartoline del neo-pontefice Karol Wojtyla, nel 1978, raccontandoci di avergli servito messa più volte. Aveva un modo allegro e innovativo di parlare di Dio e a quell’epoca sembrava sicuramente più familiare, meno solenne e forse più gradevole, per ragazzi della nostra età, del linguaggio dei suoi più austeri colleghi.

L’impatto con la gente del Macello attraversò tre fasi ben distinte: all’inizio fu tutt’altro che benvenuto, cosa abbastanza normale dopo il distacco da un “mostro sacro” come Don Agostino. Ma col tempo, Don Antonio trovò il modo di farsi voler bene, grazie ad un’innata cordialità che diventò parte integrante di un approccio schietto, confidenziale e coinvolgente, graditissimo dai fedeli della zona. Secondo molti, questa fase durò a lungo, almeno fino a quando una combinazione di fattori (la perdita della sorella, la malattia della madre e la sua dipartita, oltre alle sue stesse cagionevoli condizioni di salute tra tutti) ne avrebbe cambiato completamente il carattere, rendendolo sensibilmente più scontroso, presuntuoso e spesso addirittura intrattabile. Un modo di fare che, al momento, sembra dividere l’intera parrocchia in due fazioni di uguale entità, una a suo favore e un’altra totalmente contro.

I fatti recenti riguardanti Don Antonio Angiolini, narrati a più riprese dal nostro Quotidiano e in ultimo nell’edizione di venerdì scorso, rimettono oggi la Chiesa ischitana al centro di un momento ad altissima tensione, con una sorta di gestione silente (per voler usare un eufemismo) già adottata per episodi trascorsi e mai sufficientemente chiariti, come quelli di Don Giovanni Trofa e Don Nello Pascale, corroborati -per così dire- dalle “pause di riflessione” in corso per Don Luigi Trani e Don Marco D’Orio. Solo nel caso dell’improvvisa, sopravvenuta paternità di Don Gianfranco Del Neso, proprio il Vescovo Lagnese scese in campo in prima persona per annunciare l’accaduto ai fedeli di Fiaiano. E oggi tutto questo keep silent sembra avvolgere anche le disavventure di un esponente di indubbio spicco del clero ischitano, che già alla messa di ieri sera ha semplicemente annunciato che non sarà lui a celebrare la Novena di Natale, perché andrà “due o tre mesi in ritiro, per poi tornare nella mia parrocchia”. Ecco, forse dalla Curia ci saremmo aspettati maggior chiarezza anche in questo caso, proprio perché tutti confidiamo che nulla venga trascurato da chi è preposto a valutare certi comportamenti e che tutto possa essere risolto, in un modo o nell’altro, alla luce del sole, senza che siano solo le voci di paese (ma anche a quelle “di dentro”) ad alimentare -e talvolta contaminare- la verità.

Eppure, ironia della sorte, un Don Antonio va e un altro viene! Giovedì, in cattedrale, un “figlio del Macello” è diventato presbitero! Don Antonio Mazzella, del Cap. Agostino e di Maria Luisa Schiano, ha concluso con successo il suo percorso verso il sacerdozio, ponendosi immediatamente al servizio della nostra Diocesi. La vocazione di Antonio nasce su fondamenta solide di un ragazzo di quella stessa parrocchia, uno che ha conosciuto lo studio, il lavoro sin da ragazzino nella “chianca” di Nonno Geppino (al quale era legatissimo, al punto da confidargli quasi in fin di vita, ottenendone piena approvazione, la sua volontà di diventare sacerdote), lo sport, le tradizioni e tanti altri valori della vita che oggi potranno rappresentare senza ombra di dubbio il bagaglio giusto per un potenziale ottimo prete tutto ischitano; uno che si è lasciato abbracciare da Dio senza esitazioni di sorta, avendolo conosciuto nel modo e nel momento giusto.

Il mio augurio è che la felicità di Don Antonio Mazzella e della sua famiglia possano riflettere presto quella della Chiesa d’Ischia, che di un momento di forte rinnovamento degli operai della sua messe avrebbe notevolmente bisogno. E al tempo stesso, che presbiteri come Don Angiolini, Don D’Orio, Don Trani e perché no, anche Don Trofa e Don Pascale, che attraversano un momento di difficoltà e debolezza dettato da un equivoco o dalla fragilità della loro condizione umana (purtroppo non ci è dato saperlo), escano in modo definitivo, da buoni o da cattivi, da questo limbo che non aiuta nessuno, tanto i diretti interessati quanto i fedeli che avevano confidato, da sempre, nel loro ruolo di ministri di Dio.