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venerdì, Aprile 19, 2024

#FocusFuoco Francesco Mattera: «Non è solo il fuoco a creare danni, ma anche l’acqua salata usata per spegnerlo». Prima puntata

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Ugo De Rosa | Con l’agronomo Francesco Mattera torniamo a parlare degli incendi boschivi e dei terreni incolti, purtroppo di drammatica attualità negli ultimi giorni. Stavolta ci soffermiamo innanzitutto sulle tecniche di spegnimento, per raccogliere le indicazioni di un esperto.

Come giudica il ricorso all’acqua del mare per spegnere gli incendi?
«Vuole forse alludere all’impatto sull’ambiente?».

Sì, in generale che effetti produce?
«Su un’isola come la nostra, priva di laghi e bacini idrici di acqua dolce, nel caso di incendi come quello recentissimo di Buttavento, l’acqua marina è un male necessario. Nel senso che prevale l’esigenza di evitare il più possibile l’estendersi del fuoco su una porzione di territorio ancora più vasta e soprattutto per impedire che vengano interessate abitazioni, insediamenti produttivi, allevamenti animali e soprattutto che vengano messe in pericolo vite umane».

L’ACQUA PERSA IN VOLO

Francesco Mattera. Agronomo

Ma ha parlato comunque di un “male”. Puoi spiegarti meglio su tale punto?
«Certo. L’acqua di mare è carica di cloruro di sodio, in pratica sale, e di altre sostanze minerali alcaline. Anche i bambini sanno che l’acqua salata non fa bene alle piante, o almeno alla maggior parte di quelle terrestri e di quelle che popolano le acque dolci. Gli elicotteri ed i Canadair nel loro percorso dal punto mare di prelievo, alla zona incendiata perdono una parte non trascurabile di acqua. Acqua che cadendo sui terreni coltivati, sulle colture agrarie, specialmente se il percorso di volo è sempre lo stesso, ad Ischia ad esempio un vigneto, può provocare ustioni alle foglie, fino a provocare il defogliamento. Fenomeno fitotossico tanto più accentuato quanto più siccitoso e caldo è il periodo a cui il vigneto stesso ha soggiaciuto. Diciamo che questo è il fenomeno acuto e immediatamente percepibile, ma sicuramente è il male minore in quanto può anche succedere che non vi siano coltivazioni importanti sul percorso, o ad esempio che il pilota scelga un percorso che non intercetta vigneti ed altre colture sensibili».

Su questo punto nutro seri dubbi!
«E non ha tutti i torti. Ma proseguiamo. Se l’incendio è cospicuo, ma soprattutto renitente, per così dire, allo spegnimento, ed occorre tantissima acqua marina, con vari rinfocolamenti delle fiamme, il problema diventa serio per il terreno. E diventa ancora più serio se la stessa area più volte negli anni precedenti o in quelli successivi venisse attraversata dal fuoco, spento poi sempre con acqua marina».

Che tipo di problemi?
«Dipende da una combinazione di fattori ed elementi diversi. Soprattutto il tipo di popolamento vegetale originario e quello che naturalmente o artificialmente si va a ricostituire. A cui si aggiunge la tipologia di suolo e di sottosuolo. Ma importante è anche la giacitura dell’area incendiata, che converge soprattutto sulla pendenza del profilo del suolo».

EFFETTO SLITTAMENTO

Può essere più preciso?
«Lo farò con qualche esempio. Ma anzitutto occorre dire che alla tossicità intrinseca dell’acqua salata per la fisiologia vegetale, si aggiunge un effetto chimico-fisico sul terreno dove le piante devono insediarsi e crescere. A livello acuto qualsiasi terreno vede modificarsi il pH, ovvero la reazione, e soprattutto la salinità. Entrambi spostati in alto su un range poco idoneo alla vita delle piante. Da qui l’effetto acuto di cui sopra, che di solito si traduce in un appassimento. Effetto acuto che può annullarsi quasi del tutto se il terreno è sciolto, scheletrico e con un buon drenaggio: con la pioggia il sale si scioglie e viene dilavato in profondità fino a non interessare gli strati esplorati dalle radici delle piante. Questo è lo scenario migliore. Ma, e c’è un MA grosso come una casa, non tutti i terreni sono sciolti e permeabili a sufficienza per attivare questa sorta di dissalamento naturale. E veniamo all’esempio: poniamo che si tratti di un terreno molto ripido e con un suolo e un sottosuolo ricco di argille. Le cose cambiano radicalmente, in quanto le argille, tutte le tipologie, sono colloidi che hanno un comportamento fisico-chimico molto particolare e delicato. Ad esempio le micelle argillose sono costellate in superficie di cariche elettriche, di solito negative. E vanno soggette a rigonfiamenti e contrazioni, quando esposte a contato con l’acqua e quando questa va via per evaporazione e traspirazione operata dalle piante. Tecnicamente si parla di flocculazione e deflocculazione. Con acqua dolce o debolmente salina, il comportamento della argille è quello classico ed anche in quel caso può dare origine a problemi: si pensi ai movimenti franosi di interi territori, con insediamenti umani, a seguito di piogge abbondanti e con squilibri geologici dovuti ad un uso improprio del suolo. Ma le cose cambiano molto, molto in peggio quando le argille vengono a contatto con acqua salata. Viene stravolto in maniera significativo il meccanismo di flocculazione e deflocculazione, in pratica le argille rimangono impastate e l’acqua con molta difficoltà le abbandona. Se il terreno è molto ripido può prodursi uno slittamento differenziale di strati diversi sovrapposti tra loro. Slittamento verso valle ovviamente, con le conseguenze che si possono immaginare. Ma c’è di più: le radici di alberi ed arbusti perdono coesione con il terreno e non lavorano più bene come effetto imbrigliante sul terreno stesso. Anzi la loro massa-peso, trasferita sul terreno con un angolo molto acuto, accelera lo slittamento verso valle, soprattutto se a breve profondità è collocato un banco di roccia madre lapideo, più o meno liscio e non aggrappabile dalle radici».

L’ESEMPIO DI MONTE VEZZI

Cosa significa tutto questo, che ogni terreno con quelle caratteristiche è esposto a rischio frana?
«Si, anche se con gradazioni diverse per i fattori e gli elementi che ho ricordato poc’anzi. Posso ricondurvi ad una vicenda purtroppo molto tragica che ha colpito la nostra isola, l’alluvione con frana mortale del Monte Vezzi nel comune di Ischia del 2006. Nei giorni successivi risposi ad un articolo comparso su Il Golfo in cui un grande scienziato (purtroppo scomparso!) se ne uscì affermando che poi sull’area non era caduta una grande quantità di acqua, e dissertando sulle possibili cause del movimento franoso. Risposi sempre dalle colonne de Il Golfo, confutando quelle dissertazioni, che di scientifico avevano ben poco. In particolare misi in evidenza come nei due anni precedenti la stessa area fosse stata interessata da incendi devastanti, con scarico abbondantissimo di acqua di mare. Specialmente nel mese di agosto dell’anno precedente. Feci assurgere a significativa causa scatenante la circostanza della disgregazione delle argille (innescata dall’acqua salata) di cui i suoli del Monte Vezzi sono molto ricchi. Ma anche altre situazioni, come ad esempio la presenza di un mantello di terreno di debole spessore su una crosta di roccia madre coerente e omogenea, su un pendio molto acclive, con un pesante carico di piante di robinia alte fino a 15 metri. Tutto all’epoca documentato con un servizio fotografico. Lo scienziato (pace all’anima sua!) ed i suoi supporter locali si guardarono bene dal replicare. Indizio chiaro che il bersaglio fosse stato colpito. Le sciare di quella frana oggi sono ricoperte da nuova vegetazione, ma il problema potrebbe ripresentarsi: speriamo non possa mai più accadere».

1 – continua

2 COMMENTS

  1. Perché non sii costruiscono delle vasche che contengono acqua dolce dove gli elicotteri possono rifornirsi?

  2. Tutti i terreni collinari una volta ben tenuti mediante muri a secco per contenere le pendenze con accessi comodi mediante strade comunali,provinciali,vicinali e private, ben tenute , erano muniti di cisterna per la raccolta delle acque piovane addirittura scavate nelle pietre (Pietra dell’acqua nel Comune di Serrara Fontana zona Epomeo altro non è che una cisterna scavata in una grossa pietra) e tra un terrazzamento e l’altro si creavano dei canali che raccoglievano l’acqua e la incanalavano nelle cisterne per poi utilizzarla quando vi era carenza di acqua nei terreni coltivati,allora perchè visto che i terreni sono abbandonati perchè non si ripristinano e magari se ne incrementa anche la quantità,dette cisterne per poi consentire il prelievo alla occorrenza dell’acqua per spegnere gli incendi?Si otterrebbero più risultati tutti positivi e cioè:
    1)- si eviterebbero tutti i danni che le acque scendendo a valle arrecano;
    2)- si creerebbe un accumulo di acque piovane importantissimo in caso di emergenza con enormi
    risparmi;
    3)- si eviterebbe il prelievo di acqua salata dal mare per spegnere gli incendi che arreca danni ai
    terreni specie se coltivati;
    Infine tutti ci renderemmo conto che abbiamo un patrimonio enorme che possiamo utilizzare e lo stiamo distruggendo e che la natura mano mano ci sta presentando il suo conto e noi non ce ne rendiamo conto.
    Speriamo che le nuove generazioni prima che la natura completi il suo lavoro se ne rendono conto e intervengono facendo quello che noi non siamo stati capaci di fare.

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