Un cacciatore coinvolto in una complicata vicenda di rapporti sentimentali burrascosi “conditi” da denunce reciproche era stato sottoposto a procedimento penale per reati gravi, poi però archiviato. Sta di fatto che questa “disavventura” giudiziaria aveva scaturito nei suoi confronti il provvedimento di divieto di detenzione di armi emesso dalla Prefettura di Napoli.
Una misura precauzionale, in considerazione delle contrapposizioni in atto, per la quale l’interessato ha invano richiesto la revoca e poi presentato ricorso al Tar. I giudici, dopo aver già respinto l’istanza di sospensiva, hanno ora confermato la validità del provvedimento. Sempre per motivi prudenziali, valutando trattarsi di soggetto “inaffidabile”.
Il ricorrente, difeso dall’avv. Raffaella Di Meglio, ha chiamato in causa il Ministero dell’Interno, Questura di Napoli, chiedendo al Tribunale amministrativo l’annullamento, previa concessione della tutela cautelare, del provvedimento del 23 marzo 2023 del Dirigente Area 1ma/Staff 3OSP – vice prefetto, «recante reiezione di istanza di revoca di divieto di detenzione armi, munizioni e materiale esplodente, e di tutti gli altri atti preordinati, connessi e consequenziali, comunque lesivi della posizione giuridica del ricorrente».
Il divieto era stato emesso il 6 febbraio 2019 e disponeva appunto il divieto di detenzione di armi, «motivato dalla circostanza che il ricorrente non fosse più “affidabile a” causa della sottoposizione a procedimento penale per i reati di tentata estorsione, sfruttamento della prostituzione e detenzione illegale di munizionamento».
Reati molto gravi, ma come evidenziato nel ricorso, con istanza presentata il 12 gennaio 2022 (di cui più volte aveva chiesto l’esame), faceva presente che il procedimento penale in questione «era stato archiviato per infondatezza della notizia di reato non essendo ravvisabili fatti penalmente rilevanti nelle condotte oggetto di accertamento rilevando ad abundantiam che le parti processuali hanno reciprocamente rimesso le querele e contestualmente accettato le remissioni nonché che in relazione alle armi si è constatato che le stesse erano regolarmente detenute e denunciate». Di qui la richiesta di revoca del provvedimento «essendo venuto meno il suo (unico) presupposto».
RELAZIONI DEGENERATE E INCOMPRENSIONI
La Prefettura aveva invece respinto l’istanza su un duplice presupposto. Innanzitutto la invocata archiviazione del procedimento penale a carico del ricorrente aveva comunque dato atto di «una evidente animosità tra le parti derivata dalla degenerazione di relazioni sentimentali e da incomprensioni che avevano portato alle reciproche denunce” e che quindi essa non determinasse automaticamente l’acquisto (o meglio il riacquisto) in capo all’istante del requisito di affidabilità in materia di detenzione delle armi».
Ancora il rigetto veniva motivato ricordando che «il provvedimento di divieto di detenzione armi non ha natura di sanzione ma di atto cautelare per cui il tempo trascorso non risultava sufficiente a poter procedere a una nuova valutazione di affidabilità (il provvedimento richiama a questo riguardo una circolare del 25 novembre 2020 che indica in 5 anni dalla data di emanazione del divieto “il lasso di tempo ragionevole decorso il quale, unitamente alla presenza di nuovi elementi, quali positive sopravvenienze che abbiano modificato il quadro indiziario posto a base della pregressa valutazione di inaffidabilità, il Prefetto di tenuto a pronunciarsi sull’istanza di revoca”)».
Il ricorso sosteneva l’illegittimità del provvedimento per due motivi. Innanzitutto in quanto basato su un presupposto erroneo, «dato che è stato frainteso il contenuto del provvedimento di archiviazione; questo, infatti, è motivato dalla infondatezza della notizia criminis e solo incidentalmente e ad abundantiam reca un riferimento alla remissione delle reciproche querele».
Quanto al limite temporale, «la circolare invocata dall’amministrazione non indica in 5 anni il lasso di tempo decorso il quale il Prefetto è tenuto a pronunciarsi, ma si limita a richiamare una sentenza del Tar Campania che, in relazione alla fattispecie concreta posta al suo esame, ha individuato in 5 anni il lasso di tempo “ragionevole” oltre il quale, in presenza di “nuovi elementi”, sussiste l’obbligo di pronunciarsi».
NON SANZIONE, MA DECISIONE PRUDENZIALE
Ma la Quinta Sezione del Tar, che già a luglio 2023 aveva respinto l’istanza di tutela cautelare per la sospensione del divieto, è stata di diverso avviso, avallando la tesi della Prefettura.
Il ricorso è stato respinto perché infondato. La sentenza spiega infatti: «In sintesi può osservarsi che il provvedimento impugnato – benché non formulato in modo perspicuo – è immune dai vizi denunciati.
Esso, infatti, benché abbia apparentemente escluso che fosse trascorso il tempo ragionevole oltre il quale sussiste l’obbligo di pronunciarsi sulla istanza di revoca, si è determinato sul merito di essa e l’ha respinta sulla base di una motivazione che, come già rilevato in sede cautelare, risulta ragionevole».
In proposito il collegio presieduto da Maria Abruzzese argomenta: «Posto infatti che, come correttamente evidenziato nel provvedimento, il divieto di detenzione armi non ha una funzione sanzionatoria o punitiva ma cautelare, la circostanza che il p.m. e il g.i.p. abbiano concordato sull’archiviazione, perché i fatti ascritti al ricorrente non sono penalmente rilevanti “poiché gli elementi di prova acquisiti nella fase delle indagini preliminari non sono idonei a sostenere l’accusa in giudizio”, non implica il superamento della valutazione di non piena affidabilità del ricorrente dato che lo stesso provvedimento di archiviazione inquadra la vicenda “in un contesto di conflittualità tra soggetti legati da relazioni affettivo-amorose e da reciproca rivalità” e menziona rapporti tra questi soggetti “caratterizzati da evidente animosità derivante dalla degenerazione di relazioni sentimentali e incomprensioni che hanno portato alle reciproche denunce”».
SITUAZIONE DI FATTO IMMUTATA
La sentenza ancora meglio specifica che «proprio il riferimento a questa situazione di animosità e rivalità è l’elemento su cui è basato il provvedimento impugnato che, quindi, risulta immune da vizi, dato che la giurisprudenza è costante nel ritenere che una situazione di forte conflittualità che contrapponga il detentore delle armi a altri soggetti è una ragione sufficiente a giustificare il divieto di detenzione e non è stato fornito alcun elemento che induca a ritenere che questa situazione sia venuta meno; in definitiva il ricorrente, nel portare a conoscenza dell’amministrazione l’avvenuta archiviazione, non ha addotto una sopravvenienza che abbia modificato significativamente la situazione di fatto nel senso che il presupposto del divieto del 2019 non va ravvisato nel mero fatto della sottoposizione a procedimento penale ma piuttosto nella presupposta situazione di conflittualità che aveva indotto il Prefetto a ritenere possibile l’abuso delle armi (situazione del resto rappresentata nella relazione al prefetto del 30 gennaio 2019 con la quale il commissariato di Ischia chiedeva l’emissione del divieto di detenzione delle armi)».
Un contesto conflittuale che consiglia di impedire che l’interessato possa detenere armi. Come a dire: non si sa mai… Il collegio poi conclude: «In questa prospettiva va (anche) inquadrato il riferimento del provvedimento al tempo trascorso che – alla data della istanza di revoca – risultava effettivamente esiguo tenuto conto dello scarso rilievo, per le ragioni già viste, della sopravvenienza rappresentata». Oltre al rigetto del ricorso, è arrivata inevitabilmente la condanna al pagamento di 1.500 euro di spese di giudizio.
