Anche per il Comune di Barano un esproprio non formalizzato con decreto si rivela fonte di guai. A inizio del millennio quell’esproprio di un fondo privato alla località Cappella era stato deciso per la realizzazione di un impianto sportivo. Ma ora Dionigi Gaudioso si trova a fare i conti con la procedura incompleta, tanto che nel 2023 la Giunta aveva adottato una delibera per l’acquisizione “sanante”.
Ma il caso, dopo essere passato per le aule della giustizia civile, è finito innanzi al Tar. E ora l’Amministrazione dovrà decidere se finalizzare l’acquisizione o meno. Ma non basta. La sentenza verrà trasmessa alla Corte dei Conti.
A ricorrere ai giudici amministrativi i proprietari del terreno, i fratelli Di Scala, difesi dall’avv. Giuseppe Di Meglio, mentre il Comune è rappresentato dall’avv. Alessandro Barbieri.
I ricorrenti hanno sollecitato la dichiarazione di illegittimità del silenzio serbato sull’istanza presentata a marzo 2021 e, con i motivi aggiunti, l’annullamento della delibera di Giunta e il riconoscimento del diritto alla indennità risarcitoria.
A luglio 2000 il Comune aveva occupato 100 mq, del fondo alla via Cappella e dal 15 marzo 2001 un’ulteriore estensione fino a mq 256. Decorso il quinquennio senza che fosse intervenuto il decreto di esproprio, l’occupazione era diventata illegittima e i proprietari nel 2021 hanno diffidato il Comune «ad adottare un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 42 bis d.P.R. n. 327/01 ovvero a restituire il fiondo occupato sine titulo, in entrambi i casi risarcendo il danno da occupazione illegittima a far data dal 9/7/05 (per i 100 mq in origine occupati) e dal 16/3/06 per l’intera consistenza».
LA DIFESA DEL COMUNE
Quanto alla delibera di Giunta impugnata con i motivi aggiunti, questa demandava «al settore competente di predisporre gli atti necessari ai fini dell’acquisizione al patrimonio comunale dell’area, prendendo atto del parere pro veritate reso dall’Avv. Alessandro Barbieri, contenente i criteri per la determinazione dell’indennizzo patrimoniale e non patrimoniale, nonché di quello per occupazione illegittima da calcolarsi nei limiti della intervenuta prescrizione quinquennale, salvo interruzioni».
Ebbene, per i ricorrenti il parere pro veritate omette di considerare che con la sentenza emessa nel 2013 la Sezione distaccata di Ischia «ha stabilito che il risarcimento del danno deve essere pari al 5% del valore venale del suolo, che risulterebbe determinato in euro 28.762,00 (secondo il calcolo fatto poi dalla Corte d’Appello di Napoli con sentenza del 2020). Tale valore sarebbe ormai coperto dal giudicato e vincolerebbe il Comune. Il risarcimento non può pertanto essere limitato agli ultimi cinque anni di occupazione».
Un caso complesso. Al Tar non è stato chiesto solo l’annullamento di quella delibera “sanante”, ma di ordinare al Comune di versare al Ministero della Economia e della Finanze, la somma di euro 10.818,50 con gli interessi legali fino al soddisfo in esecuzione della sentenza della Corte di Appello. Oltre al pagamento ai Di Scala della indennità risarcitoria, da estendersi fino alla adozione della acquisizione.
«… d’altro canto, l’assenza di valore provvedimentale della delibera è rimarcata dalla stessa difesa comunale in sede di eccezione di inammissibilità dell’impugnativa proposta avverso tale delibera…»
A queste pretese l’Ente si è opposto sostenendo la improcedibilità del ricorso introduttivo, avendo avviato (tardivamente) il procedimento di acquisizione, «nonché l’inammissibilità della domanda risarcitoria, subordinata alla scelta discrezionale dell’Amministrazione tra restituzione ed acquisizione». Ha anche eccepito l’inammissibilità del ricorso per motivi aggiunti, «stante la natura endoprocedimentale della delibera giuntale».
OBBLIGO DI PROVVEDERE
La Settima Sezione ha accolto il ricorso introduttivo, in quanto, a seguito della diffida del 2021, il Comune era rimasto inerte, «non avendo l’ente nei successivi trenta giorni assunto alcuna determinazione in merito alla modalità di cessazione dell’illecita occupazione del suolo dei ricorrenti, disponendone la restituzione o, alternativamente, acquisendolo al patrimonio comunale». E in effetti, nonostante la delibera del 2023, ancora non è stata assunta una decisione ufficiale.
La sentenza osserva in proposito: «La giurisprudenza amministrativa riconosce l’obbligo di provvedere in caso di istanza del privato diretta alla p.a. affinché avvii il procedimento di acquisizione; l’inadempimento dell’obbligo legittima colui che ha presentato l’istanza ad esperire l’azione avverso il silenzio». In quanto la eventuale inerzia configura «il silenzio-inadempimento impugnabile dinanzi al giudice amministrativo».
I giudici rimarcano l’interesse legittimo dei ricorrenti «a prescindere dalla circostanza che la occupazione consegua ad un esito patologico del procedimento espropriativo che abbia riguardato comunque le particelle apprese (per illegittimità degli atti della procedura o mancata conclusione nei termini) o ovvero per mero “sconfinamento”, essendo presupposto dell’istanza un’occupazione sine titulo, quale che sia la sua forma di manifestazione (vie di fatto, occupazione usurpativa, occupazione acquisitiva). In tutti i casi, difatti, la domanda di tutela proposta è volta principalmente ad ottenere l’adozione di un provvedimento discrezionale deputato a valutare se acquisire l’area o restituirla ai legittimi proprietari, per cui, in relazione a tale segmento valutativo discrezionale, la posizione del privato è di interesse legittimo e non di diritto soggettivo».
E qui il collegio presieduto da Maria Laura Maddalena “bacchetta” il Comune: «Diversamente da quanto opinato dalla difesa comunale, non può assumere alcun rilievo (in senso ostativo ad una delibazione sulla fondatezza della domanda) l’adozione della d.G.C. n. 16/2023 che ha solo “indirizzato” i competenti ufficiali verso l’acquisizione dell’area, senza recare alcuna determinazione conclusiva sul punto (d’altro canto, l’assenza di valore provvedimentale della delibera è rimarcata dalla stessa difesa comunale in sede di eccezione di inammissibilità dell’impugnativa proposta avverso tale delibera)». Una deliberazione appunto non decisoria.
Di conseguenza toccherà all’ente “utilizzatore del bene” valutare se emanare o meno il provvedimento di acquisizione oppure restituire i beni ai legittimi proprietari, previa riduzione in pristino.

Con l’accoglimento del ricorso introduttivo il Comune è stato condannato a pronunciarsi espressamente sulla istanza/diffida entro il termine di 60 giorni. Se il Tar si è riservato in un secondo tempo la nomina di un commissario ad acta in caso di ulteriore inerzia, come detto ha disposto la comunicazione della sentenza, una volta passata in giudicato, alla Procura Regionale della Corte dei Conti. Il che sta a significare eventuali ulteriori “grane” da danno erariale per quell’iter di esproprio incompleto e “pasticciato”.
INDENNIZZO ANCORA DA DECIDERE
E’ andata meglio a Dionigi, almeno per il momento, in relazione alla domanda risarcitoria. Qui la sentenza richiama la giurisprudenza del Consiglio di Stato, che ha chiarito: «Valutati gli interessi in conflitto, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario sia corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale, quest’ultimo forfetariamente liquidato nella misura del dieci per cento del valore venale del bene».
E i giudici spiegano: «La disposizione, per il suo chiaro tenore letterale, consente di individuare quale sia l’autorità competente ad emanare il provvedimento di acquisizione del bene realizzato in assenza di un valido decreto di esproprio e tenuta correlativamente al pagamento dell’indennità al proprietario del suolo.
Tale autorità è univocamente individuata in quella che “utilizza il bene immobile”, intendendosi, con questa formula ampia e di carattere generale, l’ente che acquisisce nella sua disponibilità il bene ed è tenuto ad amministrarlo e gestirlo».
In sostanza il risarcimento per l’occupazione illegittima del bene, è un aspetto strettamente connesso all’esercizio del potere di acquisizione, «sicché, sino a quando l’amministrazione non si determina ad esercitare o meno questo potere, liquidando, nel primo caso, il risarcimento per l’occupazione illegittima del fondo, nessuna domanda in tal senso può essere proposta dal privato e, conseguentemente, dovendosi considerare anche quest’ultima come relativa ad un potere amministrativo non ancora esercitato, la domanda non potrà che essere rigettata».
L’IMPUGNAZIONE DEL RISARCIMENTO
Il risarcimento dovuto sarà determinato (e pagato) in seguito e, nel caso, potrà essere successivamente impugnato. Il collegio precisa ancora che non gli spetta decidere, in quanto «la sentenza di accoglimento del ricorso di cognizione si deve limitare a disporre che l’Amministrazione emani il provvedimento di acquisizione o di restituzione del terreno, mentre le pretese di carattere patrimoniale (riguardanti la spettanza di un indennizzo o di un risarcimento) possono essere esaminate (dal giudice avente giurisdizione, a seconda dei casi) solo dopo che si sia chiarito quale sia il regime proprietario del terreno e, di conseguenza, quale sia il titolo in base al quale sono formulate le medesime pretese».
Ed infatti la sentenza aggiunge: «Per le ragioni sopra illustrate, la domanda risarcitoria va quindi rigettata (fatta salva la sua riproponibilità, all’esito delle determinazioni assunte dall’amministrazione)». Anche su questo fronte, dunque, il Comune di Barano non è definitivamente “salvo”.
In virtù della natura della deliberazione del 2023, i motivi aggiunti sono stati dichiarati inammissibili in quanto proposti «avverso una delibera di giunta ex se non lesiva, siccome avente mera valenza sollecitatoria rispetto all’adozione di atti che spetterà ai competenti uffici adottare».
«… non avendo l’ente nei successivi trenta giorni assunto alcuna determinazione in merito alla modalità di cessazione dell’illecita occupazione del suolo dei ricorrenti, disponendone la restituzione o, alternativamente, acquisendolo al patrimonio comunale»
Come anche la domanda di ottemperanza della sentenza della Corte di Appello, in quanto ritenuta non “connessa” con gli altri aspetti del ricorso: «La sentenza del G.O. di cui si invoca l’ottemperanza, infatti, ha accolto la domanda di condanna dei Di Scala al pagamento dell’indennità per il periodo di occupazione legittima, pretesa che non ha connessione con quella alla restituzione/acquisizione dell’area, vertente, evidentemente, su un segmento procedimentale del tutto separato da quello cui si riferisce la pronuncia resa in sede civile».
Il nocciolo della decisione è che l’Amministrazione comunale dovrà adottare un atto esplicito di acquisizione di quel fondo. E resta la spada di Damocle della trasmissione della sentenza alla Corte dei Conti…