venerdì, Giugno 20, 2025

Come è partita l’inchiesta che ha portato all’arresto di Marrazzo: “Tutti impauriti e terrorizzati”. Marrazzo dice “Noi siamo i Moccia”

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IL MONOPOLIO DELLA PAURA. 1 | In un’isola dove tutti conoscevano il metodo Marrazzo – dagli imprenditori agli uffici pubblici – un solo uomo ha scelto di non accettare più le regole imposte. Ha denunciato, fornito prove, affrontato il peso dell’isolamento. Intorno a lui, il silenzio. Sulla sua testa, un dossier diffamatorio. Senza la sua voce, l’inchiesta non sarebbe mai partita

Sotto la superficie turistica e balneare dell’isola, da anni si muoveva un sistema opaco, capace di controllare interi settori economici attraverso intimidazioni, abusi e minacce. Il cuore dell’inchiesta è Angelo Marrazzo, imprenditore campano operante nel trasporto marittimo dei rifiuti, arrestato giovedì mattina, 5 giugno, con l’accusa di estorsione e concorrenza illecita, aggravate dal metodo mafioso.

Secondo la Direzione Distrettuale Antimafia di Napoli, Marrazzo – gestore di fatto della società TRA.SPE.MAR. s.r.l. – avrebbe imposto a numerose aziende ischitane l’utilizzo esclusivo delle proprie navi per il trasporto di rifiuti speciali dalla terraferma all’isola, minacciando chiunque scegliesse rotte diverse. A chi tentava di rivolgersi ad altri vettori, prometteva ritorsioni: sequestri, sanzioni amministrative, blocchi operativi.

Ma non si trattava solo di concorrenza sleale. Secondo gli inquirenti, Marrazzo agiva evocando la propria appartenenza al clan camorristico Moccia, presentandosi come referente sull’isola e sfruttando la forza intimidatoria del nome per consolidare un dominio commerciale, ambientale e umano. Un metodo che si è radicato negli anni, anche grazie alla complicità del silenzio.

Dopo aver denunciato mi sono trovato completamente isolato. Alcuni clienti hanno iniziato a sparire, altri evitavano anche solo di parlarmi

A far saltare l’ingranaggio è stato un imprenditore isolano, che ha trovato il coraggio di denunciare: ha raccontato pressioni, minacce, minuziosi episodi di ricatto, inquinamento ambientale sistematico e un’intera economia condizionata da logiche criminali. A seguito della denuncia, le indagini – condotte dal Commissariato di Polizia di Ischia, sotto la guida del vice questore Ciro Re – hanno rivelato una fitta rete di imprenditori locali costretti al silenzio o alla complicità, dossier costruiti ad arte per colpire l’accusatore, rapporti istituzionali cercati per piegare i controlli.

Le motonavi di TRA.SPE.MAR., oggetto di sequestro, non erano solo un mezzo di trasporto, ma uno strumento di potere territoriale, attraverso cui si è costruito un vero e proprio monopolio marittimo sui rifiuti. Un potere fondato su un equilibrio fragile, che ha retto finché nessuno ha parlato.
Oggi quella rete è finita sotto processo. Le accuse sono gravi, ma i contorni che emergono dalle intercettazioni e dalle testimonianze delineano una realtà ancora più inquietante: non solo l’isola era sotto controllo, ma lo era anche la coscienza collettiva. Nessuno parlava, tutti sapevano. Questa è la storia di quell’equilibrio spezzato. Una storia di paura, affari e coraggio civile.

La denuncia che ha fatto tremare il sistema
Al centro della vicenda c’è la TRA.SPE.MAR. s.r.l., compagnia di navigazione attiva nel trasporto di rifiuti infiammabili e rottami tra Ischia e la terraferma. Formalmente amministrata dalla moglie del figlio dell’indagato, era in realtà gestita di fatto da un imprenditore già noto alle forze dell’ordine. Il denunciante lo spiega con chiarezza: “MARRAZZO Angelo ci obbliga a servirci della sua ditta adottando condotte minacciose”, tra cui minacce di sequestro e sanzioni in caso di utilizzo di compagnie concorrenti come Medmar o Caremar. Ma non si tratta solo di minacce verbali. Il denunciante racconta che, dopo aver osato scegliere un altro vettore nel 2019, venne immediatamente sanzionato con la sospensione della patente e il sequestro del camion. “Da allora – racconta – ho capito che le sue minacce avevano seguito”.

La Minaccia del Clan: “Noi siamo i Moccia”
Il punto di rottura, però, va ben oltre l’abuso economico. L’imprenditore si presenta come il “referente del clan Moccia sull’isola”, evocando direttamente il potere intimidatorio della camorra. A chi provava ad opporsi diceva: “Ad Ischia comando io. Il re dei rifiuti sono io”. Il riferimento alla famiglia criminale è diretto: “La gestione dei rifiuti è dei Moccia, o vi rivolgete a noi, o non lavorate”. Un’affermazione pesantissima, corroborata da un legame familiare diretto: la moglie dell’indagato, Giuseppina Moccia, è la sorella del capoclan detenuto, come confermato anche da più testimonianze. L’uso della reputazione criminale della famiglia non è solo propaganda, ma un vero strumento di controllo sul territorio.

Le navi e il mare: tra ticatto e inquinamento
Oltre al danno economico, la denuncia porta alla luce gravi irregolarità ambientali. Secondo il denunciante, a bordo delle navi non veniva rispettata alcuna norma per la raccolta e lo smaltimento dei percolati: “L’imbarcazione dovrebbe avere un canale per convogliare gli scarti in una cisterna, ma Marrazzo li getta direttamente in mare, perché non è in possesso di alcuna cisterna”, si legge nella denuncia. Il tutto avverrebbe quotidianamente, sotto gli occhi di tutti. Il danno ambientale è doppio: all’inquinamento si somma la distorsione del sistema dei controlli, che colpisce chi rispetta le regole e premia chi le ignora ma è protetto da un potere parallelo.

Il ricatto della burocrazia
Molti altri autotrasportatori intervistati nell’ambito delle indagini – a volte reticenti, a volte onesti – hanno confermato che l’unico modo per evitare sanzioni era utilizzare i traghetti della società incriminata. Con Medmar o Caremar, “serviva un’autorizzazione dalla Capitaneria, con un’istruttoria complicata e costosa”. Con TRA.SPE.MAR., invece, bastava pagare in contanti e consegnare un formulario. È questo corto circuito, tra farraginosità amministrativa e pratiche opache, a rendere il sistema ancora più oppressivo. Un sistema dove la legalità è più difficile dell’illegalità.

L’Isolamento del denunciante
La decisione di denunciare è costata molto. Lo stesso denunciante teme per la propria sicurezza. “Tutti i trasportatori dell’isola sono terrorizzati… fanno finta di niente, ma sanno tutto. Io però non ce la faccio più a stare zitto”, ha dichiarato. Alcuni colleghi si sono mostrati infastiditi dalla sua iniziativa. In intercettazioni ambientali, un imprenditore esclama: “Adesso ci ha tirato tutti quanti in mezzo. Per colpa sua. E noi dobbiamo fare gli scemi dietro a lui ma se noi volevamo fare gli scemi lo facevamo per i “cazzi” nostri”.
Eppure è stato proprio questo gesto solitario a generare un’inchiesta imponente. Il suo coraggio ha portato all’identificazione di una decina di aziende coinvolte, al sequestro di materiale, all’attivazione di intercettazioni e a una ricostruzione capillare dei meccanismi di pressione, compreso un meticoloso sistema di dossieraggio contro di lui, documentato in oltre venti conversazioni telefoniche tra l’indagato e i suoi collaboratori.

Politica, appoggi e controdenunce
La denuncia ha toccato anche ambienti istituzionali: “Il fratello di Marrazzo, Nicola, è un esponente politico regionale. Grazie a lui riesce a ottenere autorizzazioni in tempi brevissimi”, si legge. Inoltre, emergono pressioni durante le elezioni: “Cercarono di obbligare me e altri a votare per il fratello di Marrazzo”.
Ma il colpo più inquietante arriva dopo la denuncia: in varie intercettazioni, l’imprenditore minaccia ritorsioni fisiche (“gli faccio una paliata”) e organizza dossier da inviare anonimamente alla stampa e alla Procura, accusando il denunciante di illeciti ambientali.
“Facciamo una lettera anonima che la ditta porta 30 metri cubi con autorizzazione per 12. La faccio pubblicare sul Roma. Se tu me la scrivi bene, noi gliela facciamo anonimamente al giornale e gliela mandiamo noi stessi una lettera di questa, in modo che gliela faccio pubblicare, hai capito”, dice in una telefonata, incaricando un suo collaboratore di raccogliere foto e relazioni false.

Il coraggio civile come rottura del silenzio
Questa denuncia è oggi il perno di un’inchiesta penale complessa. Ma resta prima di tutto un atto di coraggio civile. Il gesto di chi, pur consapevole dei rischi personali, ha deciso che non voleva più essere parte di un sistema marcio.
Il denunciante non è un eroe. È un cittadino stanco. Uno che ha scelto di non piegarsi, di non fingere più. In un’isola dove il mare è blu solo in superficie, la sua voce è una chiamata alla coscienza collettiva.

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  • Articolo realizzato dalla Redazione Web de Il Dispari Quotidiano. La redazione si occupa dell'analisi e della pubblicazione fedele degli atti e dei documenti ufficiali, garantendo un'informazione precisa, imparziale e trasparente. Ogni contenuto viene riportato senza interpretazioni o valutazioni personali, nel rispetto dell’integrità delle fonti e della veridicità dei fatti.

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