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sabato, Aprile 20, 2024

Chiesa: amore e chiarezza

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4WARD dal Seggio alla Seggia di Davide Conte

davide-188x80L’entrata a gambatesa di Monsignor Krzysztof Charamsa in coincidenza con l’apertura del Sinodo dei Vescovi sul tema della famiglia è da considerarsi tutt’altro che casuale. Tuttavia, non mi soffermerei sulla capacità di quest’ormai ex religioso (se non lo è ancora de iure, lo è senz’altro de facto) di pianificare così attentamente la sua pseudo-denuncia; men che meno sul livello di resilienza della Chiesa rispetto a tale avvenimento, anche perché, sino a questo momento, la tattica sembra quella di sempre, fritta e rifritta: poche dichiarazioni, un provvedimento dall’alto e poi… continuare “a scuordatènne”. Fu così con Milingo e l’Abbè Pierre, sarà così anche stavolta.
Oggi, però, oltre a scandalizzarci (o far finta di farlo) nell’aver scoperto l’ennesimo prete gay con tanto di compagno ufficiale che esce allo scoperto (stavolta almeno per sua scelta), dobbiamo considerare che il momento è completamente diverso da quello in cui, molti anni fa, vivemmo le squallide storie di cui sopra. All’epoca non c’erano i new media e i social network e sottacere ciò che non faceva troppo comodo all’immagine della Chiesa era certamente più facile. Il Vaticano non aveva ancora conosciuto il processo innovatore di Papa Francesco che, almeno sul piano della comunicazione, sembra voler procedere su un binario totalmente diverso rispetto ai suoi predecessori. Al pari di come, rispetto a quella che è forse la ferita più profonda inferta dal Clero all’intera cristianità, i fenomeni di pedofilia da parte di ministri di Dio avvenuti reiteratamente in giro per il mondo non riuscivano ad essere così ufficialmente e diffusamente evidenti; mentre oggi, per scelta dell’attuale Pontefice, sono stati tutt’altro che sottaciuti, anzi, affrontati con il clamore e la durezza che meritano. Ma… è sufficiente?
Se da una parte la posizione di Charamsa è assolutamente e indiscutibilmente fuori luogo (nella sostanza, più che nella forma), dall’altra è impensabile che la Santa Sede, al di là delle reazioni spesso scontate della prima ora, non intenda ancora assumere una posizione dura e ben definita contro l’ambiguità che regna sovrana ovunque tra prelati d’ogni ordine e grado e che spesso tende ad eludere, sulla scorta di un mondo che cambia molto e male, le osservanze più antiche ed elementari del sacerdozio. E’ giunto il momento, a Roma come ad Ischia, nel caso del segretario della Commissione Teologica Internazionale Vaticana come in quello di due umilissimi preti di provincia come Don Giovanni Trofa e Don Nello Pascale, che chi sbaglia paghi, ma che abbia nel contempo la certezza di un metro di valutazione chiaro, uniforme e scevro dell’omertà che in tutti gli ambienti logora la serena ricerca della verità e la pace di chi ancora, nello specifico, crede nel conforto della fede. Mi rifiuto di accettare che la Chiesa non sia in grado di sapere, o non voglia sapere, chi effettivamente serve il Signore in modo ligio alle regole, arginando in modo definitivo i comportamenti di chi invece utilizza la sacralità del proprio ruolo per scopi diversi e deprecabili. Mi piacerebbe entrare nel merito di certe scelte, allorquando certi “soggetti” trovano accesso nei seminari e, gradualmente, pervengono al presbiteriato senza alcun criterio selettivo che si rispetti, visti i risultati; oppure su quelli come Charamsa, che assurgono a ruoli apicali della teologia mentre tendenze e comportamenti inequivocabili passano più o meno inosservati anziché esser presi debitamente in esame da parte di chi di dovere. Ma oggi occorre altro! E senza volerci ergere a giudici di alcuno, credo che tutti i Cattolici, senza distinzioni di sorta, abbiano il diritto di vederci chiaro.
La menzione per la Chiesa locale è d’obbligo. Per quanto ne so, il processo a Don Giovanni Trofa sta per cominciare solo in questi giorni, mentre per Don Nello Pascale (per il quale sembrerebbero esserci finanche delle prove) ancora non se ne parla. Eppure, una comunità intera –non solo le rispettive parrocchie- è esposta ai dubbi, alle incertezze ed ai sospetti più o meno legittimi, propri della disinformazione; o, se preferite, di quell’omertà totale che proviene dall’alto e che insiste anche verso il basso nello spazzare la polvere sotto un tappeto che non ce la fa a contenerne più neppure un granello. Quali colpe avrebbero commesso? Cosa è successo di così grave da allontanarli dai rispettivi ruoli e finanche dall’Isola? E i gemelli Mancusi? Come mai sono stati costretti a continuare i loro studi teologici nel Lazio anziché permanere in quel di Napoli? Ne ho già scritto mesi fa, ma da allora nulla è cambiato. Nulla! E poi nessuno si lamenti che le chiese sono sempre più vuote, ben oltre la mera crisi vocazionale.
Naturalmente, al di là di tutto, “I religiosi gay non sono liberi di amare” resta il succo di un concetto distorto e puramente reclamistico in una Chiesa sicuramente piena di contraddizioni, ma che non può e non deve subire le troppo scontate conseguenze dell’outing marketing di questo avvenente, sfrontato quarantatreenne polacco. Non fosse altro che per il rispetto di Religiosi con la R maiuscola che hanno interpretato alla perfezione l’amore vero verso Dio ed il prossimo. Madre Teresa di Calcutta, Don Bosco, Padre Pio, erano forse incapaci di amare ed essere amati, pur rinunciando alla vita di coppia? Eppure non erano gay, ma semplicemente dediti a Dio e al prossimo in maniera totale. E non sarà certo il Charamsa di turno ad offuscarne quella grandezza che per molti di noi, senza nulla togliere alla misericordia di Dio, probabilmente resterà un’incompiuta. Ciononostante la Chiesa Cattolica, che per fortuna è fatta anche di Ministri che onorano quotidianamente la loro funzione, ha bisogno di innovazione, ma soprattutto di chiarezza. Tanta. E subito!

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