Con il Vescovo Carlo Villano commentiamo quello che è il tema del momento, la morte di Papa Francesco, il Pontefice che lo ha ordinato vescovo e che ha sicuramente cambiato il corso della Chiesa cattolica.
Prima però volevo per un attimo riavvolgere il nastro della storia e ricordare le emozioni di quando è arrivata la nomina a vescovo. Immagino che per un sacerdote sia sicuramente un momento importante del proprio ministero.
«Cambia un po’tutto in quel momento, ti cambia la vita e la domanda che ti poni è “perché proprio io? Perché questa scelta cade proprio su di me?”. Però poi quando si viene chiamati la si accetta anche con un senso di profonda fiducia. La fiducia di chi nella fede e in una prospettiva di fede accoglie questa chiamata da parte del Papa, nel mio caso da parte di Papa Francesco. Alla fine si pensa che se il Pontefice, con il discernimento dello Spirito Santo attraverso le persone che certamente lo collaborano in questa scelta, ha avuto fiducia in me, certamente il Signore non ci farà mancare nulla. Il Signore continuerà ad accompagnare questa nostra vocazione. E allora certamente si prova un grande senso quasi di sbigottimento in quel momento, ma dopo un po’ di tempo ci si dice: “il Signore mi ha chiamato per volontà di Papa Francesco ma vuol dire che mi aiuterà, che mi guiderà, che mi darà una mano e sosterrà la mia umanità”».
Lei da bambino sognava di diventare vescovo?
«No, questo proprio Carlo Villano bambino non lo sognava. I miei sogni da bambino al massimo erano di diventare prete. Credo che questo fosse l’unico sogno, ma essere prete nella dimensione di chi sta in mezzo alla gente, questo credo che sia mi sia sempre piaciuto e spero abbia un po’ caratterizzato il mio ministero. La bellezza di annunciare il Vangelo stando in mezzo alla gente, non dietro le quinte, ma proprio in mezzo alla gente, rendendolo anche vivendo nella quotidianità. E questa quotidianità, vivere la quotidianità delle persone, per dirla con Papa Francesco, sforzandosi e forse a volte anche non riuscendoci, sforzandosi di portare sulla propria pelle l’odore del gregge; questa credo che sia la dimensione più bella del sacerdozio, dell’essere prete. Anche con tutte le nostre fragilità, le contraddizioni nella nostra umanità».
ACCOMPAGNARE LA CHIESA FINO ALLA FINE
Con l’umanità al centro, la morte di Papa Francesco riporta alla mente l’eccezionalità di questo momento storico. Dopo la rinuncia di Benedetto XVI e l’arrivo di Papa Bergoglio, il papato aveva assunto una dimensione più “terrena”. La scomparsa di Francesco, invece, ci riporta alla realtà più profonda del ruolo del Papa.
«Certo Papa Francesco l’ha sempre detto, dall’inizio, che se si fosse reso conto di non riuscire ad accompagnare la Chiesa avrebbe seguito le orme di Benedetto, di Papa Ratzinger. Però poi credo che il Signore lo abbia sostenuto fino alla fine delle sue forze, della sua stessa vita. E l’esempio di Papa Francesco credo che sia stato proprio questo, ancora nel pieno possesso delle proprie facoltà mentali, anche se la salute fisica veniva meno, lui ha cercato di guidare e ha guidato la Chiesa fino alla fine. Quindi, pur avendo previsto una possibile rinuncia per motivi di salute o per altri motivi per i quali si fosse reso conto che non avrebbe potuto accompagnare e guidare la Chiesa, il Signore seppur nella malattia gli ha dato quelle forze per poter guidare la Chiesa. E questo credo che rientri un po’ nell’alveo della tradizione della Chiesa, di una vita che si dona fino alla fine della propria stessa vita, delle proprie forze».
NUOVI SENTIERI DA PERCORRERE
Volendo restare a quella che è la storia dell’isola d’Ischia intrecciata con Papa Francesco, ovviamente la sua nomina, in particolare quella del Vescovo che ha unito la Diocesi di Ischia e la Diocesi di Pozzuoli, è sicuramente la svolta più importante della storia della Diocesi di Ischia. Questa scelta a Ischia è stata vissuta in due modi. Devo essere onesto, prima del suo arrivo e della sua conoscenza, magari qualche dubbio che questa scelta fosse propedeutica poi ad un accorpamento era molto più forte. Oggi invece mi sembra di capire che si tratta proprio di quello che rappresenta la parola unione. Quanto ha influito l’essere vescovo di due Diocesi, anche se vicine ma distantissime?
«Certo, due Diocesi di persone, con un solo vescovo. Per me ha influito tanto, però come possa essere stato rispetto alla guida di una sola Diocesi, probabilmente a questa domanda non posso rispondere perché ho cominciato direttamente con l’accompagnare due Diocesi. Fatta questa premessa, credo che questa unione delle Diocesi nella persona del Vescovo significhi ancora una volta dare ampio respiro alla vita stessa della Chiesa, perché la strada che vorrei intraprendere, che vorremmo intraprendere insieme è fare in modo che questo percorso un po’ alla volta, gradualmente cominci ad essere un percorso comune. Abbiamo già dei percorsi comuni in alcuni momenti della vita dei sacerdoti, come i ritiri, gli esercizi spirituali. Penso ad esempio ai giovani, alla Pastorale Giovanile, dove già vivono momenti comuni, agli uffici diocesani della custodia del Creato, alla Pastorale sociale del lavoro che hanno avviato dei percorsi comuni.
Certo non ci nascondiamo la difficoltà del cammino, ma non ci nascondiamo anche la novità del cammino. Però come dico sempre, e l’ho detto fin dall’inizio, se la Chiesa per mezzo anche di Papa Francesco ci chiama a vivere questo cammino comune, un cammino che ripeto presenta anche un po’ le sue difficoltà, le sue resistenze, credo al tempo stesso che nel progetto ampio di Dio sicuramente sarà un cammino che porterà grandi benefici. Forse lo vedrà anche chi verrà dopo di noi. Come diceva Papa Francesco, noi siamo chiamati ad avviare dei processi. Non preoccupiamoci in quanto tempo raggiungeremo questi obiettivi, ma cominciamo a incamminarci su strade nuove, su sentieri nuovi. Poi certamente il Signore ci saprà accompagnare, guidare alla meta».
LE PERIFERIE AL CENTRO DELLA VITA DELLA CHIESA
Se vogliamo provare a dare un giudizio, un commento su quello che sono stati i dodici anni di Bergoglio, qual è la sua valutazione?
«Un giudizio io non mi permetto di darlo, magari un commento. Direi soprattutto che è stato un Papa che ha cercato di vivere il Vangelo fino in fondo. D’altronde lui si è richiamato a Francesco d’Assisi, il suo nome si richiama a Francesco d’Assisi e a chi gli contestava un po’la radicalità del Vangelo, lui rispondeva “Ma il Signore mi ha chiesto di vivere il Vangelo”. Rispondeva così, in maniera radicale, senza interpretazione. E credo che Papa Francesco ci ha detto proprio questo: vivere il Vangelo in tutta la sua bellezza. Forse tante volte non ci riusciamo, abbiamo anche i nostri limiti, però vivere la bellezza del Vangelo per Papa Francesco ritengo abbia significato rimettere le periferie al centro della vita stessa della Chiesa.
Un po’ come Francesco ha messo il lebbroso al centro della sua vita. Nel momento in cui ha abbracciato il lebbroso, si è sentito libero, si è sentito veramente nelle mani del Signore. E Papa Francesco ci lascia questa testimonianza forte, rimettere il Vangelo al centro della vita della Chiesa, che significa rimettere il mondo, considerando la periferia, al centro della vita stessa della Chiesa e forse anche della nostra società».
UNA CHIESA SEMPRE PIU’ SINODALE
Tra poco inizierà il conclave, momento sicuramente caldo per la Chiesa. Quindi aspettiamo solo la fumata bianca. Per la Chiesa questo momento di transizione che significato ha e anche la Diocesi come lo vive?
«E’ un momento certamente di attesa. Io credo che noi lo viviamo proprio così. Innanzitutto continuando a pregare per Papa Francesco. E’ il tempo in cui noi nella fede affidiamo al Signore l’anima di Papa Francesco, perché credo che tutti dobbiamo viverlo anche in una prospettiva di fede, anche con uno sguardo alla vita eterna, come ci ricordava Francesco, a quella vita che per lui ha avuto inizio e che non ha più termine. Allora, viviamo questo tempo proprio così, in preghiera per Papa Francesco, ma anche in comunione con tutta la Chiesa iniziamo a invocare lo Spirito perché il prossimo Papa sia per davvero colui che lo Spirito Santo dona e invia alla sua Chiesa. Ma poi, soprattutto perché anche dopo l’elezione lo Spirito Santo continui ad aiutare il Papa in questo compito che credo sia veramente grande e immane con le sole forze umane. Penso che da solo nessuno ce la farebbe».
E’ passato diverso tempo da quando su quest’isola si sono verificati diversi episodi che forse a Pozzuoli non si immaginava e non so quanti vescovi abbiano dovuto avere a che fare con i tanti casi che sono assurti agli onori della cronaca, sotto le telecamere di tante tv nazionali. Adesso che momento sta vivendo la Diocesi?
«Beh, la Diocesi sta vivendo certamente questo momento di attesa per il Santo Padre, in comunione con tutta la Chiesa. Come Chiesa locale certamente ci stiamo preparando a questa stagione che inizia e quindi ci stiamo anche noi interrogando su come poter rispondere a quelle che sono le attese anche spirituali dei tanti fedeli che arrivano qui sull’isola. Certamente ci stiamo anche interrogando un po’ sulla nostra realtà, su come essere sacerdoti in quest’isola. Qualche settimana fa ci siamo incontrati, abbiamo iniziato a ragionare sulla presenza numerica dei sacerdoti sull’isola, in questa Diocesi e ci siamo sempre più detti che, come ci ha invitato Papa Francesco, non per necessità, ma perché questa è l’essenza stessa della Chiesa, siamo chiamati veramente a vivere la sinodalità della Chiesa, dove nelle comunità cristiane, seppure nella differenza delle proprie vocazioni, della propria vita, siamo tutti chiamati a essere responsabili della vita di questa Chiesa.
E allora ecco come sta vivendo la Diocesi la vita della Chiesa. Credo che il cammino che occorra intraprendere e per certi versi continuare sia proprio questo, un cammino in cui tutti ci sentiamo corresponsabili della vita della Chiesa. Ma questo naturalmente comporta anche, come dicevo prima, intraprendere percorsi nuovi, ma che sono poi quei percorsi che già qualche anno fa ci ha invitato a intraprendere Papa Francesco, aiutandoci ad abitare questo sogno di Dio di Chiesa sempre più sinodale. Una Chiesa in cui sempre più tutti siamo responsabili della vita stessa della Chiesa e quindi dell’annuncio del Vangelo».
IN MEZZO ALLA GENTE CHE SOFFRE
In conclusione è il Vescovo di due Diocesi, l’abbiamo detto, due Diocesi che si trovano a fare i conti con la natura: Ischia con il dissesto idrogeologico e quello che è successo negli anni scorsi, Pozzuoli con il bradisismo. Due paure sorelle, anche se sono diverse: da una parte con più danni, dall’altra con minori danni. Il ruolo della Chiesa, non dico come punto di riferimento perché c’è la Protezione Civile, ci sono altre forze dello Stato, però come quel punto di riferimento per le anime, per le persone, per chi si sente impaurito, come si vive? Quali sono le differenze, se ci sono?
«Io penso che il tratto comune è proprio l’esserci della Chiesa e l’esserci e lo stare della Chiesa anche in queste situazioni in cui c’è dolore, c’è precarietà. Noi l’abbiamo sperimentato. A Ischia non c’ero ancora, ero ausiliare a Pozzuoli. Però sono testimone anche dal racconto da parte del Vescovo Gennaro, che c’era in quegli anni, di una grande solidarietà che ha caratterizzato le associazioni di volontariato qui sull’isola, le associazioni di volontariato della Chiesa ma anche laiche. E credo che la cifra bella, alta, sia proprio questa capacità di lavorare insieme e allora spero che la gente percepisca l’esserci di questa Chiesa, ma anche la capacità di tutte le associazioni di volontariato della Chiesa e anche laiche di saper essere tra la gente. Questo credo che sia un bel tratto distintivo. Allo stesso modo anche a Pozzuoli si sta in mezzo alla gente, cioè i preti, la Chiesa condividono questo momento di sofferenza del territorio. Qual è la differenza tra il rischio di Pozzuoli e quello di Ischia? A Ischia è ben delimitato nel tempo e nello spazio. Sono state individuate delle aree più pericolose e con il tempo si spera che certe ferite vengano rimarginate e che certe ferite non si riaprano più. Ma questo dipende anche un po’ dalla cura del territorio, dall’attenzione al territorio.
A Pozzuoli invece la situazione è diversa. Parlando con le persone molte volte sembrano dirmi “Don Carlo, sembra che noi viviamo in uno stato di sospensione. Pare che siamo sospesi tra una scossa e l’altra. Aspettiamo. Non siamo in attesa della prossima scossa”. Questo è nella mente delle persone e credo che incida molto. La Chiesa cerca di esserci e di non lasciare le persone da sole. Quindi abitiamo il nostro territorio, abitiamo la Diocesi e credo che quello che accomuna soprattutto le due Chiese è la capacità dei sacerdoti di stare in mezzo alla gente. Lo ripeto, questo credo che sia il tratto distintivo della nostra vocazione. Noi siamo preti, siamo sacerdoti per le persone, per la gente, per il popolo di Dio. E allora nella misura in cui, soprattutto in questi momenti di difficoltà, noi sacerdoti sappiamo stare tra la gente, in mezzo alla gente, condividendo con loro la precarietà, anche le nottate, l’acqua, il freddo, il caldo, credo che questo sia il tratto distintivo della Chiesa evangelica a cui tanto ha tenuto Papa Bergoglio».