fbpx
venerdì, Aprile 19, 2024

Brian Lee, il moderno assassino e noi

Gli ultimi articoli

Il fondo di Andrea Esposito | “Respirò l’odore dei granai e pace per chi ci sarà, e per i fornai. Pioggia sarò e pioggia tu sarai, i miei occhi si chiariranno e fioriranno i nevai. E torneremo a camminare, per mano insieme A camminare, domenica” (Diamante)

Così recita una delle più belle, struggenti e appassionate ballate emiliane di Zucchero Fornaciari. E noi, con lui, torniamo a sentire vicini gli odori, i sapori, il calore del sole sulla pelle e la frescura della pioggia in testa. Toreremo a camminare, certamente. Manca poco, sperando di non aver fatto danni nel periodo intermedio della “libera speranza”.

Se avete avuto senso civico e responsabilità individuale quando eravamo barricati in casa a mangiare pane e formaggio, dovete averne ancora di piu’ oggi, che possiamo fare (quasi) tutto il cazzo che ci pare. L’insofferenza verso le regole (che diminuiscono) deve essere direttamente proporzionale ai contagi (che pure diminuiscono): se siamo sopravvissuti sul divano senza diventare protagonisti di un film di M.Night Shyamalan, possiamo sopravvivere tranquillamente al bar davanti ad un Negroni. Non abbiamo piu alcun motivo per non essere responsabili. In questo limbo che chiamiamo Fase2 dobbiamo usare il doppio dell’attenzione, della protezione e della sicurezza.

E ancora più del doppio dal 3 giugno in poi, quando riaprira’ la circolazione tra le regioni e quella con molti paesi esteri. Siamo liberi ormai ma, come abbiamo scritto piu’ volte, la libertà è un bene fragile e caduco che va difeso. Le rivoluzioni, di forza propulsiva e dimensioni maggiori o minori, vanno fatte per sopravvivere, non per morire. Le rivoluzioni tornano come prepotente arma in questi tempi grami, dalle metropoli americane accecate di rabbia per la morte “razziale” di George Floyd, fino alle piazze italiane dove (molti di meno di quelli che si lamentano, in verità) lavoratori precari e piccoli imprenditori non si sentono né garantiti né tutelati dalle scelte della burocrazia governativa che li strozza con una serie di regole difficilissime da rispettare. Le rivoluzioni, che hanno subito anche loro la mutazione sociologica dei tempi, sono oggi delcinate anche nella variante social: minimo impegno, massima visibilità, zero risultati. Eppure, nonostante le diverse motivazioni e collocazioni, nonostante il diverso contesto sociale e geografico, resta il fatto – incontestabile – che a muovere il mondo nel prossimo futuro non sarà l’istinto dell’uomo, non sarà la pancia, né la ribellione incosciente, ma il suo esatto opposto.

Se vogliamo esserci, dobbiamo imparare a “mediare”, ovvero a vivere individuando e rispettando una serie di regole, non perché ci vengono imposte ma perché sono l’unico mezzo che abbiamo per garantire un futuro – magari non a noi – ma ai nostri figli, di certo. Dalle battaglie ideologiche: un maggior rispetto per l’ambiente, un utilizzo diverso e migliore del territorio, una gestione degli spazi che consenta il distanziamento sociale in qualsiasi momento e dunque una vita quotidiana migliore, più sana, pur con la possibilità di abbracciarsi, baciarsi, fare l’amore e dare sfogo a tutta l’empatia che vogliamo in qualsiasi momento. Ma per scelta, non per ribellarci né perché ce lo negano. Fino alle grandi scelte politiche ed economiche: restare o meno in una confederazione di Stati con enormi potenzialità sullo scacchiere del mondo, ma sogno incompiuto nella realtà, senza alcuna prospettiva di crescita se le sue fondamenta poggiano solo su accordi di bilancio e non su solide basi politiche, sociali, culturali, umane.

Alla fine il senso civico e la responsabilità individuale non sono – e non saranno in futuro – nient’altro che questo: delle scelte. Scelte di noi tutti, come singoli. Scelte che possono decidere il risultato della nostra partita e condizionare come andrà la nostra esistenza.

Chi lo dice? Lo dicono in tanti, dai guru della Silicon Valley ai nuovi asceti della new-new-new age. Lo dice, ultimo tra gli stronzi, anche il sottoscritto. Ma non importa di nessuno di questi.

Oggi è importante che lo dica Brian Lee Hitchens. E chi sarebbe? mi direte. Hitchens, 46 anni, residente in Florida, è un autista di Uber. Ma è ormai noto alla cronaca mondiale come: complottista pentito. Brian credeva che il virus fosse una bufala, inventata dal governo per controllarci. Qui la prima considerazione: il governo di Hitchens è quello di Donald Trump, non quello di Giuseppi Conte, quello del tycoon aggressivo e spregiudicato che ha portato gli USA al collasso, non quello del grigio avvocato italiano che si è mosso con timore e incertezza nelle prime ore del dramma ma alla fine ha probabilmente salvato le vite di tanti italiani. Eppure le teorie che insinuano dubbi e diffondono informazioni senza alcun fondamento, mettendo inconsapevolmente a rischio la vita di migliaia di persone, sono le stesse: il governo ci controlla attraverso il virus.

Senso civico e responsabilità, appunto, dicevamo. Nei mesi precedenti Hitchens era letteralmente scatenato sui social: i 5G come possibile causa del virus, la pandemia solo un bluff, poco piu’ di una banae influenza o frutto di qualche esperimento in laboratorio sfuggito di mano o – ipotesi estrema, arma fine di mondo – punta dell’iceberg di un complotto mondiale dei poteri forti ecc ecc ecc… Ma poi qualcosa cambia, improvvisamente, repentinamente per lui e la sua compagna: Hitchens è poi diventato un simbolo planetario, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno. Perché – al contrario della maggioranza degli haters di casa nostra che fanno finta di ribellarsi al sistema ma sono in realtà ottimi Bravehearts solo al calduccio di casa loro, sul comodo divano e dietro al pc – Brian Lee sceglie di non seguire le regole per davvero, di non dar credito alle indicazioni della sanità, all’uso della mascherina, del distanziamento sociale e di qualsiasi precauzione per evitare il contagio.

Alla fine si ammala, positivo lui e sua moglie. Entrambe finiscono in ospedale: lui è guarito («A tutti voi haters là fuori che mi avete mandato messaggi terribili dicendo che merito di morire, spero che stiate leggendo forte e chiaro: sono negativo! Lode al Signore!”), lei è in intensiva. Ad entrambe auguriamo ogni bene. Hitchens ha toccato con mano il dramma di una malattia invisibile e ha finalmente aperto gli occhi. «State attenti a cosa leggete, alle fake news, ora mi rendo conto che il coronavirus non è assolutamente falso, è là fuori» le sue parole, mentre la moglie lotta per guarire.

Cosa ci insegna questa breve storia che speriamo abbia il piu’ rapido lieto fine?

Nulla che non sapessimo già sull’aspetto epidemologico o sanitario del dramma che ha vissuto e sta vivendo il mondo intero. Impariamo a discernere: se non ne abbiamo le competenze, non parliamone. Se il nostro incipit dev’essere: “non ne ho alcuna prova, ma leggendo qui non so più cosa pensare” lasciamo perdere. Nella stragrande maggioranza dei casi se “noncielodicono” è perché o non ce niente da dire o sono cazzate. Quello che dobbiamo ricordare è esattamente la stessa sfilza di drammatiche realtà che citavamo con dolore, quando i numeri erano tremendamente diversi e morivano a centinaia ogni giorno in tutta Italia: non dimentichiamoci adesso che va meglio dei medici, degli infermieri, degli operatori sanitari, dei lavoratori necessari che non si sono mai fermati, delle forze dell’ordine e di tutti coloro che sono caduti o hanno rischiato il culo per mesi, in trincea. Portiamo loro rispetto, come ha fatto Brian Lee Hitchens che, appena ha potuto parlare e tornare a scrivere sui social, non ha piu’ smesso di ringraziare, tra le lacrime, chi gli ha salvato la vita. Dunque da profani oppure, nel mio caso, da amanti delle storie nere e indegnamente scrittori di racconti, il ritratto che possiamo fare di questo nuovo serial killer, invisibile e modernissimo, sconvolgente nella sua agghiacciante, palese, banalissima ovvietà, è quello di un killer totalmente off-line: l’esatto opposto dei soggetti ignoti moderni, delle puntate di Criminal Minds. Questo serial killer è la metafora vivente e fatta genetica di quello come dovrebbe essere un assassino al giorno d’oggi per non essere scoperto e beccato. Non un genio del pc, multitasking e iperconnesso, non un furbo demonio dei social particolarmente abile a manipolare i media, ma l’esatto contrario. Il serial killer che oggi avrebbe maggiori possibilità di farla franca è quello disconnesso: niente telefono o cellulare, niente pc, né email né social account, non deve avere una tv e neppure una radio, niente carte di credito né bancomat né SIM card, nessuna tessera prepagata, tutto solo in contanti oppure niente. I suoi dati non sono registrati da nessuna parte, l’anagrafe non sa chi sia. Le sue impronte digitali sono sconosciute alle autorità, i suoi polpastrelli sono bruciati dall’acido. Evita le foto, non c’è nessuna sua immagine precedente in circolazione, ma solo qualche scatto rubato adesso che sono sulle sue tracce ma non sanno ancora bene chi sia. E’ sempre coperto, il viso nascosto, evita l’inquadratura delle videocamere di sorveglianza. Non si fa controllare, non si fa imporre regole: nessun contratto di fitto, nessun abbonamento, niente giornali, niente bollette). Ma questo SK non è stato sempre così, anzi! Siamo noi che ce l’abbiamo fatto diventare: noi, la società. Noi, il singolo individuo. Noi quelli che dobbiamo avere senso civico, noi quelli che dobbiamo essere responsabili. Noi, gli uomini: il suo unico e solo veicolo. Perché se è vero che – come dice il grande narratore americano Philip Roth – nessuno attraversa la vita senza restare segnato in qualche modo dal rimpianto, è anche vero che noi abbiamo in questo tempo esatto una straordinaria possibilità, o seconda possibilità se volete. Viviamo una di quelle curvature della Storia che si verificano ogni tot centinaia di anni. Non è facile, niente è facile nei momenti epici e cruciali ma abbiamo la possibilità, anzi il dovere rabbioso, di esserne protagonisti.

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Gli ultimi articoli

Stock images by Depositphotos