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giovedì, Aprile 18, 2024

Alitalia e… quel malcostume tutto italiano

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Trovo deprimente la vicenda Alitalia, non tanto per una sorta di affetto naturale verso la nostra compagnia di bandiera, quanto per gli aspetti salienti della sua travagliata storia, che definire grottesca è forse un eufemismo.

Passato il tempo delle vacche grasse, allorquando cioè anche gli sprechi passavano sotto silenzio, visto che a sprecare erano praticamente tutti in virtù di una diffusissima “mangiatoia bassa”, le incapacità gestionali dei management di aziende che avevano inevitabilmente a che fare col “pubblico” sono venute fuori, giorno dopo giorno, anno dopo anno, in tutta la loro gravità. Restando in casa Alitalia, i costi finanziari e le clientele imperanti, unitamente a voci di bilancio che anche il più umile ma oculato dei contabili, nel riscontrarle, si vedrebbe costretto a tirar le orecchie al consiglio d’amministrazione cacciandolo via a calci nel sedere, hanno creato situazioni insanabili ed inevitabili scioglimenti e messe in liquidazione.

A questo, nel corso del tempo, si è aggiunta una notevole evoluzione del rapporto tra domanda e offerta, culminato nell’avvento dei voli low cost e delle revenue rates degli anni ’90, ovvero quelle politiche commerciali e tariffarie che hanno reso volare decisamente più semplice e meno caro, in cambio di qualche scalo aeroportuale meno centrale, servizi più spartani e tempi di prenotazione ottimizzati.

Siamo al 2017 e dopo le operazioni CAI, Air France, Klm ed Etihad, cui abbiamo assistito nel giro di un ventennio, siamo nuovamente ai nastri di partenza, o meglio, al capolinea. L’ultimo triennio capeggiato da Luca Cordero di Montezemolo, primo ad abbandonare la nave non appena fiutato il rischio affondamento (non oso immaginare l’entità della sua liquidazione da presidente) è culminato nei fatti di cronaca che tutti, in questi giorni, hanno avuto modo di apprendere dai media. Ma tuttora, analizzando la situazione da semplici utenti, prima che da tecnici, non ci si riesce a spiegare il perché questa pur rinomata compagnia aerea continui a compiere gravissimi autogol, che non necessariamente riguardano scelte importanti come il costo del carburante (venti euro in più a tonnellata dopo l’avvento dell’accordo arabo) o dei leasing per l’acquisto dei velivoli (tassi che anche mio figlio Simone, a dodici anni appena, rifiuterebbe per la loro esosità), ma anche i più elementari rapporti con la clientela. Sorvolo per un attimo sulla sempre minore dedizione del personale di terra e di volo alla customer satisfaction, probabilmente per una forma di demotivazione dettata dalla consapevolezza di perdere giorno dopo giorno quegli storici privilegi di una classe eletta, altro che lavoratrice. Ma se qualcuno sapesse darmi una spiegazione al prossimo passaggio, gliene sarei veramente grato.

Proprio ieri mi stavo dedicando a consultare le tariffe di un possibile volo a/r per Los Angeles, considerato che da anni anelo a trascorrere il Thanksgiving Day in una famiglia americana a me cara, ma non ci sono ancora riuscito. La prima, triste presa d’atto è che Alitalia non ha più voli diretti, né da Milano né da Roma. Si parte da almeno uno scalo e da una serie di abbinamenti in code sharing, cioè in collaborazione con altre compagnie-partner. Ebbene, Vi faccio solo un esempio: se da una parte Alitalia offre sul proprio sito, operando insieme a Air France con scalo a Parigi, partenza 18 novembre e rientro il 25 dello stesso mese, un volo in Economy Classic al prezzo minimo di € 834,62 a persona, definendo “esauriti” i posti in tariffa Economy Promo, dall’altra la stessa Air France offre a ben sette mesi dalla data di partenza la stessa combinazione di volo Fco-Cdg-Lax a € 479,72. British Airways, invece, con scalo a Londra, mette in condizioni di partire nelle stesse date, sempre da Fiumicino, a € 475,39. Amici, stiamo parlando di compagnie aeree di tutto rispetto, di cui una è partner storica di Alitalia: eppure, la loro offerta è di oltre il 40% inferiore.

Nell’epoca in cui EasyJet e Ryanair spopolano in Europa con le loro politiche aggressive, riuscendo a conquistare sempre più slot negli aeroporti che contano e, come se non bastasse, ad aumentare di anno in anno le località pronte ad accogliere i loro velivoli in arrivo e in partenza, Alitalia non riesce a tenere il passo con un mercato che non sembra chiedere nulla di straordinario rispetto alle più elementari politiche di fidelizzazione. Un mezzo di trasporto, l’aereo, che se da una parte soffre in Italia la concorrenza dei treni veloci ed il loro vantaggio di arrivare in tempi ragionevoli direttamente al centro delle principali città italiane piuttosto che in aeroporti periferici, dall’altra potrebbe approfittare sia dei prezzi non sempre accessibili delle due compagnie ferroviarie sia della scelta obbligata di viaggiare in aereo per raggiungere la quasi totalità delle destinazioni oltre confine. Eccoci, pertanto, pronti a celebrare il definitivo de profundis di un altro possibile “orgoglio italiano”, una creatura dello Stato che proprio lo Stato, dopo numerose scelte assistenziali più che discutibili, oggi sembra pronto ad abbandonare –come dichiarato dallo stesso Ministro Calenda- in vista di una ormai inevitabile dismissione o liquidazione annunciata nel giro di sei mesi. Un autentico disastro, come quello tra un padre e un figlio pronti prima a coccolarsi nei reciproci vizi, salvo poi disconoscersi reciprocamente nel momento del bisogno per poi rifugiarsi nel più squallido dei “non lo so, si salvi chi può”, proprio come se la cosa non li riguardasse neanche un po’.

Storie di un Paese il cui malcostume diffuso, nel pubblico come nel privato, non finirà mai di sorprenderci. In negativo, naturalmente. Aspettando invano che qualcosa cambi. Ma quando?

 

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