La Suprema Corte dichiara inammissibile il ricorso della Turistica Villa Miramare S.p.A. La società puntava sulla sentenza del TAR Campania che aveva annullato l’ordine di demolizione, ma i giudici di legittimità ribadiscono: il giudice penale ha potere autonomo di valutazione. Condanna a 3.000 euro per la Cassa delle Ammende.
La Terza sezione penale della Corte di Cassazione ha messo la parola fine al ricorso presentato dalla Turistica Villa Miramare S.p.A., società che gestisce il complesso alberghiero Miramare Castello di Ischia, coinvolta in una vicenda di presunti abusi edilizi e paesaggistici legati alla realizzazione di una sala polifunzionale e del parcheggio della Siena ad Ischia.
Con la sentenza n. 29540 del 2025, la Suprema Corte ha dichiarato il ricorso “manifestamente infondato”, confermando così il sequestro disposto in sede cautelare.
La difesa della società aveva articolato otto motivi di impugnazione, insistendo sulla validità delle autorizzazioni edilizie e sulla legittimità dell’opera come infrastruttura di interesse pubblico. Centrale era il richiamo alla sentenza del TAR Campania del gennaio 2024, che aveva annullato l’ordine di demolizione impartito dal Comune di Ischia. La Cassazione, tuttavia, ha ribadito un principio consolidato: “il giudicato amministrativo è solo tendenzialmente vincolante per il giudice penale”, che resta titolare di un autonomo potere di valutazione, anche rispetto a pronunce della giustizia amministrativa.
La società ricorrente aveva sostenuto che la sala polifunzionale fosse “un’opera privata realizzata su suolo privato ma asservita al pubblico interesse” e che il parcheggio servisse “alle esigenze del centro storico”. Ma i giudici hanno condiviso la lettura del Tribunale del riesame: “il parcheggio era privato e accessorio alla struttura turistico-ricettiva, ovvero al complesso alberghiero Miramare Castello, e non risultava funzionale all’interesse pubblico, sia perché non era stata espletata la procedura della dichiarazione di pubblica utilità con esproprio delle aree, sia perché non era stata perfezionata la Convenzione con la sottoscrizione delle parti, non essendo sufficiente, a tal fine, la sola delibera di Giunta”.
Un passaggio importante della decisione riguarda anche la valutazione del periculum in mora, cioè del rischio di aggravamento delle conseguenze del reato. La Suprema Corte ha definito “ineccepibile” la motivazione del Tribunale del riesame, che aveva valorizzato “le dimensioni dell’opera realizzata, l’uso cui è destinata, la non ultimazione, per cui la sua disponibilità può aggravare o comunque protrarre le conseguenze dannose del reato e, ai fini dei reati ambientali, la rilevante alterazione dell’equilibrio urbanistico e ambientale del territorio”.
Un nodo particolarmente significativo affrontato dalla Corte riguarda il peso della sentenza del TAR Campania del gennaio 2024, che aveva annullato l’ordine di demolizione disposto dal Comune di Ischia. La società ricorrente aveva costruito gran parte della propria difesa su quella pronuncia, sostenendo che l’intervento dei giudici amministrativi rendesse insussistente il presupposto stesso del sequestro penale.
La Cassazione, però, ha respinto tale impostazione, riaffermando un principio che la giurisprudenza penale considera consolidato: «il giudicato amministrativo è solo tendenzialmente vincolante per il giudice penale». Ciò significa che le decisioni dei tribunali amministrativi non possono automaticamente travolgere né limitare l’autonomia valutativa del giudice penale, soprattutto quando si tratta di verificare la sussistenza di reati edilizi e paesaggistici.
Nella sentenza si legge che il giudice penale ha sempre il potere-dovere di controllare la legittimità e l’efficacia dei titoli abilitativi, verificando non solo il rispetto dei presupposti formali, ma anche la reale conformità delle opere autorizzate alle prescrizioni urbanistiche e paesaggistiche. Nel caso concreto, la Suprema Corte ha chiarito che la pronuncia del TAR si era limitata ad annullare l’atto comunale sulla base di una questione procedurale – l’asserita inefficacia di SCIA e DIA – senza però affrontare il merito della vicenda edilizia. «La sentenza del TAR – si legge – non si è espressa sulla natura delle opere né sugli atti idonei ad assentirle né sulla loro conformità rispetto al permesso a costruire originario, tutti temi esulanti dalle questioni sottoposte alla sua attenzione e oggetto invece del presente procedimento penale».
In questo modo, la Cassazione ha sgomberato il campo dall’equivoco prospettato dalla difesa: non vi è alcuna sovrapposizione tra i due giudizi, né l’annullamento dell’ordine di demolizione da parte del TAR può comportare automaticamente la caducazione del sequestro disposto in sede penale. Per i giudici di legittimità, infatti, il giudizio amministrativo resta confinato alle controversie tra cittadini e pubblica amministrazione, soggetto alle regole proprie della domanda e agli oneri di allegazione, mentre il processo penale ha finalità diverse, legate all’accertamento dei reati e alla tutela dell’interesse pubblico generale.
Alla luce di tali considerazioni, la Cassazione ha concluso che “il ricorso deve essere dichiarato inammissibile”, condannando la società ricorrente non solo alle spese processuali ma anche al pagamento di 3.000 euro in favore della Cassa delle Ammende, somma determinata in via equitativa in applicazione dell’art. 616 del codice di procedura penale.











