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venerdì, Marzo 29, 2024

22 ottobre 2022: una data che segna la nostra storia

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ANNA FERMO | Nella giornata di Ieri si sono svolte le conferenze dei capigruppo di Camera e Senato per la definizione, nel dettaglio, dei tempi del dibattito parlamentare sulla fiducia al nuovo Governo targato Giorgia Meloni.
Stamane, 25 ottobre, si comincerà alla Camera, dove “il”, e non “la”, neo Presidente, farà le sue dichiarazioni programmatiche. Al termine del discorso si sposterà al Senato per consegnare il testo dell’intervento a Montecitorio. In serata poi, arriverà la fiducia alla Camera, mentre si attenderà domani, 26 ottobre, per quella al Senato.
Sembra ieri il 25 settembre, quando siamo stati chiamati alle urne, ed in effetti abbiamo già un Governo. Rispetto agli ultimi governi “questa volta il tempo è stato breve, è passato meno di un mese dalla data delle elezioni”, come ha dichiarato Mattarella ai giornalisti dopo il conferimento l’incarico, ponendo l’accento sul dato che ciò “è stato possibile per la chiarezza dell’esito elettorale”, ma anche per la necessità di “procedere velocemente in considerazione delle condizioni interne e internazionali che esigono un governo nella pienezza dei suoi compiti”.

Ed è così che il 22 ottobre 2022 segna già la nostra storia: con l’accettazione dell’incarico di formare un governo da parte di Giorgia Meloni, la lettura dell’elenco dei ministri ed il rinvio del giuramento nella mani del presidente della Repubblica solo a domenica 23. E’ storia per la rapidità con la quale ha mosso il primo passo il nuovo Esecutivo della Repubblica italiana, ma soprattutto perché è il primo guidato da una donna.
Quand’anche si attenda la fiducia in queste ore, di fatto, il governo Meloni è già ufficialmente in carica con i suoi 24 ministri di cui: 9 di Fratelli d’Italia, 5 della Lega, 5 di Forza Italia, i restanti considerati “tecnici d’area”. La composizione dell’esecutivo, come è stato notato concordemente da più parti, è coerente con il risultato delle elezioni e quindi ha un oggettivo baricentro a destra. La premier ha già annunciato insieme alla lista dei ministri anche il nome del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano.
Non ha nemmeno iniziato la nostra Giorgia che è già polemica anche sulla connotazione identitaria del suo esecutivo: all’Agricoltura ha aggiunto la Sovranità alimentare, alla Famiglia la Natalità, all’Istruzione il Merito. Ha introdotto il “Made in Italy” (curiosamente un’espressione in inglese anche se ormai ampiamente nazionalizzata), la Sicurezza energetica ed il Mare, associato al Sud.

Quand’anche si possano avere dei dubbi al riguardo, è certo che le idee chiare di questo neo nato governo sono evidenti. La stessa gestazione della nuova compagine ministeriale, velocissima, una volta esauriti i passaggi istituzionali relativi al nuovo Parlamento (elezione dei presidenti delle Camere, dei capigruppo ecc.) lo dimostra. Solo giovedì e venerdì mattina le consultazioni al Quirinale, poi venerdì pomeriggio l’incarico. Nemmeno la tradizionale accettazione “con riserva” c’è stata!
La Meloni si è presentata da Sergio Mattarella già con la lista dei ministri, su cui, come è stato notato, evidentemente c’era stato un confronto informale con il Quirinale almeno per i posti-chiave, e si è trattato di una situazione che ha davvero pochissimi precedenti, tra cui quello relativamente recente di Berlusconi nel 2008. Va da se che dopodomani, la Commissione Speciale costituita per l’esame dei provvedimenti, ancor prima che vengano istituite le Commissioni permanenti, comincerà a lavorare sul decreto legge Aiuti Ter il cui approdo in Aula è previsto per il 7 novembre.

Diciamo che tutto lascia intendere che non c’è affatto tempo da perdere! Così, delineati con il primo voto di fiducia in entrambe le Camere i perimetri della maggioranza parlamentare, si costituiranno le Commissioni permanenti e, nella settimana che parte il 7 novembre i presidenti di Camera e Senato potrebbero convocarle affinché eleggano i rispettivi presidenti. Conclusosi questo iter, il primo passo sul fronte dei conti pubblici vedrà il governo chiedere al Parlamento l’autorizzazione a utilizzare i 10 miliardi di ‘tesoretto’ sul 2022 per prorogare fino a fine anno quella parte di aiuti sulle bollette in scadenza a novembre (con il varo successivo di un decreto ad hoc che potrebbe diventare emendamento al decreto aiuti ter). Poi ci saranno da integrare la Nadef e il Dpb con il quadro programmatico (il governo Draghi ha indicato solo il tendenziale). A quell punto dovrà essere presentata la legge di Bilancio, che va approvata definitivamente dal Parlamento entro il 31 dicembre.
Non sono affatto tempi facili per il nuovo Esecutivo ed anche per questo la Meloni ha tutti gli occhi puntati addosso. Ha rotto il “soffitto di cristallo” di Palazzo Chigi, come abbiamo ripetuto, quale prima donna presidente del Consiglio della Repubblica italiana, incaricata dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella a formare il 67esimo governo italiano, di centrodestra come uscito dalle urne il 25 settembre, ma il compito è arduo e lo sarebbe per chiunque nelle circostanze in cui versa attualmente il paese Italia.
Ha 45 anni Giorgia Meloni, come Amintore Fanfani quando divenne presidente del Consiglio nel 1954, e non è di certo la più giovane: lo scettro è saldo nelle mani di Matteo Renzi, a capo del governo nel 2014 a soli 39 anni.

L’Italia tuttavia sino a sabato 22 ottobre era rimasta tra i nove Paesi Ue a non avere mai avuto al suo timone una donna. Con l’addio di Liz Truss, Giorgia Meloni diventa la nona donna premier in Europa, succede a Mario Draghi da leader del primo partito italiano e presidente dei Conservatori europei.
Il primo Paese dell’Unione europea ad avere una prima ministra, fu il Portogallo con Maria de Lourdes Pintasilgo nominata a capo del governo nel 1979. Cinque Paesi Ue, invece, hanno avuto più di una donna a capo del loro esecutivo: La Francia, con Edith Cresson nel 1991 e ora Élisabeth Borne; la Polonia, con Hanna Suchocka, anche lei nel 1991, Ewa Kopacz, nel 2014, Beata Szydło nel 2015; la Danimarca, con Helle Thorning-Schmidt nel 2011 e ora Mette Frederiksen; la Finlandia, con Anneli Jäätteenmäki nel 2003, Mari Kiviniemi nel 2010 e ora Sanna Marin; la Lituania, con Kazimira Danutė Prunskienė nel 1990 e adesso Ingrida Šimonytė. I Paesi Ue che hanno sino ad oggi avuto una sola donna alla guida del loro governo sono invece: il Belgio, con Sophie Wilmès nel 2019; la Germania, con Angela Merkel dal 2005 al 2021; l’Austria, con Brigitte Bierlein nel 2019; la Slovacchia, con Iveta Radičová nel 2010; la Slovenia, con Alenka Bratušek nel 2013; la Croazia, con Jadranka Kosor nel 2009; la Grecia, con Vassiliki Thanou-Christophilou nel 2015; la Bulgaria, con Reneta Indzhova nel 1994; la Romania, con Viorica Dăncilă nel 2018; la Svezia, con Magdalena Andersson nel 2021; l’Estonia, con Kaja Kallas nel 2021; la Lettonia, con Laimdota Straujuma nel 2014. Nell’elenco anche la Serbia, con Ana Brnabić, politica ed economista, primo ministro dal 29 giugno 2017; Ingrida Šimonytė, economista, dal dicembre 2020 primo ministro della Lituania.

La socialdemocratica Magdalena Andersson è alla guida del governo svedese dal 30 novembre 2021 e Kaja Kallas dell’Estonia dal 26 gennaio 2021. In Islanda dal 30 novembre 2017 c’è la leader dei Verdi Katrín Jakobsdóttir; Mette Frederiksen, primo ministro della Danimarca dal 27 giugno 2019, e Sanna Marin, eletta in Finlandia il 10 dicembre del 2019.
Finalmente dunque anche la nostra Italia segna un passo ulteriore in avanti nella “politica di genere”. Ricordiamo che solo nel 1976, 30 anni dopo le prime elezioni che videro le italiane al voto, abbiamo avuto una prima donna ministro in Italia con Tina Anselmi, scelta da Giulio Andreotti come ministra del Lavoro nel suo terzo esecutivo. Un’altra grande figura femminile nella storia della politica italiana è stata Nilde Iotti, la prima donna presidente della Camera nel 1979. Ricordiamo poi la Pivetti e la Boldrini. Per la prima presidente del Senato abbiamo dovuto attendere invece il 2018, quando Maria Elisabetta Alberti Casellati è arriva a ricoprire la carica nella legislatura che si è appena conclusa.
La nostra, è davvero una storia di assenze e di invisibilità. Come qualcuno ha sottolineato: “Una storia monca e cieca. Una storia in cui metà della popolazione è stata (ed è) costantemente sottorappresentata nelle istituzioni e nei luoghi dove si prendono le decisioni che riguardano le vite di tutte e di tutti”.

In 75 anni di storia della Repubblica, su 4.864 presidenti, ministri e sottosegretari che hanno giurato al Colle, appena 319 sono state donne. Il 6,56% del totale. Pensare che le donne in Italia oggi rappresentano il 51,29% della popolazione!
“La Repubblica” ha contato dieci governi monogenere: erano composti di soli uomini gli esecutivi De Gasperi 2, 3, 4, 5, 7 e 8, il Fanfani 1, Pella, Andreotti 2 e Rumor 4 (con ben 87 deleghe). Il governo con più donne (34,8%), considerando ministeri e sottosegretariati, è stato quello uscente: il Conte 2. Quello con meno donne (1,2%) il primo guidato da Mariano Rumor. Dal governo Ciampi del 1993 poi, con l’eccezione degli esecutivi Dini e Berlusconi 1,2 e 3, la quota di incarichi femminili è stata sempre superiore al 10 per cento. Con il Berlusconi 4 ha superato per la prima volta il 20%, fino a raggiungere il 28,4% con Paolo Gentiloni, il 26,9% con Enrico Letta e il 26,5% nel 2014 con Matteo Renzi, che è stato anche il primo e l’ultimo premier a prevedere il 50/50: 8 ministri e 8 ministre.
Va però detto che anche quando più donne sono entrate al governo, i ministeri “pesanti” sono rimasti saldamente in mano maschile. Nessuna donna è stata mai titolare di un dicastero economic ad esempio. Soltanto tre sono state responsabili dell’Interno (Rosa Russo Iervolino, Anna Maria Cancelleri e Luciana Lamorgese), altrettante agli Esteri (Susanna Agnelli, Emma Bonino e Federica Mogherini) e alla Difesa (Roberta Pinotti nei governi Renzi e Gentiloni ed Elisabetta Trenta nel Conte 1).

Tutto questo è il sintomo di una società che ancora non riesce a riconoscere l’autorevolezza femminile. L’Ufficio valutazione d’impatto del Senato, nel dossier “Parità vo cercando” dedicato a 70 anni di elezioni in Italia dal 1948 al 2018, lo ha messo nero su bianco: «Le cariche di maggior rilievo politico paiono continuare a essere appannaggio prevalente degli uomini».
Ci auguriamo dunque che davvero con Giorgia Meloni, cui facciamo un in bocca a lupo sincero, si sia finalmente avviato un nuovo corso per la nostra Italia tutta e per le nostre Donne in particolare.

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