lunedì, Novembre 10, 2025

11 agosto-1 ottobre: De Luca non ha avuto tempo di firmare il Piano della Ricostruzione

Le scelte qualificanti del Piano per il cratere ischitano – sicurezza del territorio, sostenibilità ambientale e rigenerazione urbana – restano sulla carta. La firma del presidente della Regione, attesa dall’11 agosto, non è mai stata apposta. Un ritardo che sa di calcolo politico e che pesa come un macigno su cittadini e comuni colpiti dalle due catastrofi.

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Tra atti formali e conferenze di pianificazione, le parole pronunciate dal commissario Legnini lo scorso 11 agosto tornano oggi, 1 ottobre, a risuonare con una forza ancora più evidente: “Con il decreto che il presidente della Regione si accinge ad emanare, mi auguro nei tempi più rapidi possibili, emergeranno con chiarezza le scelte qualificanti del Piano, improntate alla sicurezza del territorio, alla sostenibilità ambientale e alla rigenerazione urbana dei territori colpiti dai due eventi catastrofici”.

Quella dichiarazione, a distanza di quasi due mesi, resta sospesa come una promessa non mantenuta. Il presidente della Regione, infatti, non ha ancora firmato il Piano di ricostruzione per il cratere ischitano. Quelle scelte qualificanti che Legnini assicurava sarebbero emerse con chiarezza non hanno trovato, ad oggi, un riscontro ufficiale. La firma di De Luca, che avrebbe dovuto sancire la chiusura dell’iter, non è arrivata.

Il ritardo si somma a una lunga scia di attese, bozze, correzioni e contestazioni. Basti ricordare le denunce, forti e dirette, dei sindaci di Forio, Lacco Ameno e Casamicciola, che già un anno fa avevano puntato il dito contro errori strutturali e incongruenze delle prime versioni del Piano. Quelle voci restano sullo sfondo, a testimoniare il peso relativo che l’isola continua ad avere nei corridoi regionali.

È vero: i pareri tecnici sono stati espressi, le scelte urbanistiche e ambientali sono state formalmente assunte, e molti cittadini di Casamicciola e Lacco Ameno sanno già cosa prevede il Piano. Ma la sostanza resta incompleta senza l’atto conclusivo, senza quella firma che permetterebbe di dire con chiarezza che il percorso è finalmente chiuso.

Il problema, allora, diventa politico. Perché non è stato firmato? È solo una questione di agenda, compressa tra presentazioni di libri e preparativi elettorali, oppure c’è una scelta precisa di rinviare l’atto in vista della campagna regionale? È stato bloccato per non concedere a Discepolo un annuncio in tempi non utili, o si aspetta di farlo diventare, all’occorrenza, una bandierina da sventolare in piazza, un trofeo da legare a un nome e a uno schieramento?

Se fosse davvero così, se cioè la mancata firma da oltre un mese e venti giorni fosse soltanto il frutto di un calcolo elettorale, saremmo di fronte a qualcosa di più di un semplice ritardo: sarebbe un affronto a chi, in quei due eventi catastrofici, ha perso casa, lavoro, radici. Sarebbe un insulto alla sofferenza di una comunità che attende risposte concrete da anni.

Che il decreto sia un atto formale lo sappiamo bene. Proprio per questo diventerebbe ancora più grave se arrivasse nel momento politicamente più conveniente, travestito da occasione di propaganda. Se dovesse trasformarsi in passerella istituzionale per qualche candidato, allora sì, ci sarebbe davvero da indignarsi. E di certo non ce ne dimenticheremmo.

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