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venerdì, Aprile 19, 2024

Trump contro tutti: vittoria meritata!

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4ward di Davide Conte

Nello scorso mese di marzo, a pranzo ad Ischia con il Prof. Robert T. Moran, eminente cattedratico dell’Arizona e democratico convinto, insieme alla moglie Virgilia, un succulento coniglio preparato dal mitico Papu Vincenzo non riuscì ad unirci nella reciproca, prospettica visione dell’election day dell’8 novembre scorso. Robert e Virgilia sostenevano -e non solo perché democratici- che #TheDonald non sarebbe riuscito neppure ad ottenere la nomination per i repubblicani, in quanto “un personaggio del genere mai potrebbe assurgere a tale onore, sarebbe una disdetta per tutti gli Americani.” Improponibile, da parte loro, fu giudicata la mia ipotesi che egli potesse addirittura succedere ad Obama: “Se ciò accadesse -tuonò Robert, con l’assenso di Virgilia- non ci resterebbe che cambiare Paese!

Dondavide-188x80ald John Trump sarà il quarantacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America e io l’avevo previsto! Fu esattamente dopo il colloquio con Robert e Virgilia, perfetti rappresentanti di quella fetta di Americani che non riusciva a guardare oltre il proprio naso e la propria appartenenza, che ebbi conferma di quanto già immaginavo da tempo e di cui -scusate la sincerità facilmente confondibile per immodestia- il mondo intero si è reso conto solo l’altroieri mattina: la macchina del fango fatta di luoghi comuni, malainformazione e sondaggi pilotati era già in piedi da tempo, negli USA, ad opera di quell’establishment che mai avrebbe potuto accettare un’autentica rivoluzione (nel bene e/o nel male) pari a quella che un Presidente come Trump poteva senza dubbio porre in essere in caso di vittoria. Scrissi allora un post sul mio blog che ho riproposto ieri su Facebook e Twitter e che trovate all’indirizzo http://www.davideconte.com/wp/nessuno-tocchi-donald-trump.html. Nel rileggerlo, l’altra notte, proprio mentre la vittoria di Trump prendeva sempre più corpo, mi chiesi: “Come mai non sono ugualmente bravo nel prevedere con così tanto anticipo il buon esito di un concorso o di una lotteria milionaria?” I casi della vita…

Bene fanno i soliti benpensanti, sinistrorsi e non, a paragonare Donald Trump a Silvio Berlusconi (magari un po’ di qualunquismo in meno non guasterebbe); credo infatti che tale accostamento non valga soltanto per l’estrazione sociale e la nota guasconeria di entrambi, con tutto quello che, grazie alle copiose cronache, è divenuto di nostra conoscenza. C’è di più! Ad esempio, quanto messo in atto ad arte contro il tycoon newyorchese assomiglia tantissimo alla “gioiosa macchina da guerra” di occhettiana memoria che, nel 1994, tentò ad ogni costo di mettere l’Italia contro la prima candidatura del Cavaliere, senza ovviamente riuscire a fermare la forte ventata di novità che, a suo tempo, il messaggio di Forza Italia era riuscito a portare nelle nostre case. Berlusconi vinse le elezioni, ma cominciò molto presto (e non casualmente) la lunga serie di avvisi di garanzia che lo ha accompagnato nei vent’anni di politica attiva e che lo costrinse alle dimissioni dopo poco più di un anno (e mi fermo qui con la storia). E non ci sarebbe da meravigliarsi se anche il futuro di Trump, non rispondendo a certe logiche d’apparato -politico e non- con la sua proverbiale capacità di “mandare tutti al diavolo” (il noto kick ass lanciato nel suo saggio del 2008 “Think Big”), possa presto finire in preda agli impeachment più disparati.

In tanti si stanno sperticando con le frasi fatte che da mesi circolano ovunque (web in primis) sul neo-Presidente USA: mitomane, stalker, maniaco, bugiardo, razzista, intollerante, belligerante, sono solo alcuni dei dolcissimi appellativi che gli sono stati riservati sinora e che ancora animano il rancore di chi, a tutti i costi, voleva far credere che l’ago della bilancia pendesse dalla parte di Hillary Clinton, non tanto per i valori espressi in campo, ma perché “è giusto così”. Con più o meno lo stesso criterio, abbiamo assistito all’autodelegittimazione di tutto il sistema giornalistico e demoscopico americano, attraverso una gogna mediatica fatta di costante demonizzazione e di sondaggi del tutto autoreferenziali, della cui infondatezza gli stessi autori hanno dovuto fare pubblicamente ammenda un attimo dopo aver preso atto, con sorpresa e dolore al tempo stesso, della solenne figuraccia rimediata con lo spoglio. Il sito FiveThirtyEight (quello dalle previsioni elettorali infallibili del suo fondatore) e il New York Times in primis (a differenza del Los Angeles Times, che pur operando nella California ostile a Trump lo ha dato vincente sin dall’inizio), sono il simbolo di quell’informazione americana che oggi ha dimostrato tutta la sua incompetenza ed inaffidabilità; sì, perché in entrambi i casi (quindi, o perché incapaci o perché pilotati e prezzolati), giornalisti, testate e sondaggisti rappresentano quella fetta di potere o di soci del potere che, pur di sostenere la propria linea, hanno recitato fino in fondo la parte di chi non ha capito (o ha fatto finta di non capire) cosa stesse realmente succedendo in questa campagna elettorale. Nessuno di loro, ma neppure la gente comune che ancora oggi scende in piazza o semplicemente si limita a gridare allo scandalo da ogni parte del globo per il trionfo di Trump, prova a chiedersi come mai quel burbero signore, per certi aspetti anche alquanto antiestetico e tutt’altro che un fior fiore d’innata simpatia, sia riuscito a conquistare il consenso (spesso underground) di tutte le classi sociali ed etnie presenti negli States, in particolare di quelle più deboli e di periferia che proprio con un milionario e, per giunta, con il suo linguaggio a dir poco estremo, non dovrebbero trovare affinità.

Il tutto si riassume in poche parole: Clinton e i democratici, con l’appoggio (fuori luogo, a mio avviso) del Presidente uscente, della sua consorte e di una serie di costosissime star dello show business, pensavano di giocare sul velluto, puntando sulla rozzezza spesso inevitabile del loro antagonista quale punto debole a supporto di una vittoria certa. Trump, dal canto suo, non ha mai fatto mistero del proprio modo di essere e anche quando ha rischiato il cosiddetto switch, cioè il cambio in corsa da parte del GOP dopo il video-rivelazione dei suoi commenti da spogliatoio sul rapporto da celebrità con le donne, ha continuato imperterrito a comunicare a modo suo, a combattere da solo, a mettersi contro chiunque lo osteggiasse (finanche Papa Francesco) e, soprattutto, ad avere perfetta cognizione di ciò che la gente voleva sentirsi dire dal prossimo Presidente degli Stati Uniti. Un modo di esprimersi spesso orientato “alla pancia” di quella gente, ma che ha dimostrato quanta voglia ci fosse da parte di decine e decine di milioni di Americani di ricevere un diverso tipo di speranza, di programma, di semplice approccio, da parte del loro “candidato da votare”.

Il 26 febbraio scorso, nel 4WARD, Vi scrissi: “L’America è il Paese che intorno ad una campagna elettorale costruisce con un’ingenuità quasi infantile il suo momento dei sogni, delle ambizioni, della speranza che tutto possa costantemente essere migliorato.” Beh, prendere atto del risultato di due giorni fa non significa essere “trumpisti”, ma obiettivi nell’ammettere che essi testimoniano a chiare lettere la meritatissima vittoria di Trump per la sua capacità di meglio interpretare quel momento, nella consapevolezza che fosse necessario rompere gli schemi di un modello di nazione stile democratico che, dopo otto anni, non convinceva più la maggioranza degli Americani, nativi e non. E il popolo americano, a modo suo, ha dimostrato di ignorare ogni forma di condizionamento mediatico, pensando e decidendo con la propria testa e lasciandosi alle spalle i due mandati di Barack Obama. Bravi! Succederà anche in Italia, il prossimo 4 dicembre, con la netta affermazione del NO, e non certo per merito di Grillo o Salvini e ponendo fine al mandato “per grazia ricevuta” di Renzi. Magari si svegliasse anche Ischia, a maggio prossimo… 

4 COMMENTS

  1. Meno male che Ischia tra tanti politici e amministratori mediocri abbiamo anche un esperto di politica internazionale,che aveva previsto la vittoria di Donald John Trump, grazie alla sua cultura cosmopolita e che come spesso scrive conosce e frequenta persone importanti come il Prof. Robert T. Moran, eminente cattedratico dell’Arizona

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