fbpx
martedì, Aprile 16, 2024

Terrorismo: e se qualcuno provasse a farsi gli affari suoi?

Gli ultimi articoli

L’attentato Isis al concerto di Manchester, ancora una volta, ha colpito a morte una ventina d’innocenti ma, soprattutto, un’opinione pubblica che, come al solito, è stata prontissima a rattristarsi, indignarsi e listare a lutto i profili social, ma sarà altrettanto cinica nel voltare pagina, di qui a poco, nel ritornare rapidamente alla cura proprio backyard.

Mi rendo conto che l’argomento di oggi allontanerà dalla lettura molti di quelli che si sarebbero aspettati un mio commento alla campagna elettorale in corso (non temete, arriverà alla vigilia del voto, salvo imprevisti o anticipazioni), ma di tanto in tanto dobbiamo essere in grado di allontanarci dal contesto isolano e narrare anche di situazioni che, solo apparentemente, non ci appartengono.

Ebbene, ragionando l’altroieri con il mio amico Nello, il quale per sua cultura è solito approfondire la quasi totalità delle cose che accadono quotidianamente in Italia e nel mondo intero, commentandole dall’alto di un osservatorio tanto privilegiato quanto neutrale, si rifletteva sugli aspetti organizzativi che riguardano gli estremisti del califfato islamico. Senza dubbio si tratta di gente astuta e senza scrupoli, ma al tempo stesso, se vogliamo, anche abbastanza disgregata nel suo radicamento mondiale. Ne consegue che le iniziative terroristiche poste in essere, eccezion fatta per i 2996 morti di Ground Zero nel 2001, sono nate prevalentemente da iniziative di cosiddetti “lupi solitari”, provocando effetti senza dubbio gravi ma mai più di tale portata; e questo, secondo un’interpretazione tutt’altro che superficiale, potrebbe significare due cose: o l’Isis non ha la forza di ripetersi in autentiche stragi come quella delle Torri Gemelle a New York, dimostrando così che l’aver violato in modo così clamoroso uno spazio aereo urbano sotto l’egida del Pentagono con danni a dir poco paurosi sia stato un caso fortuito e quasi irripetibile per le sue possibilità, oppure che i suoi vertici non hanno interesse a indurre i “nemici” del califfato a disinteressarsi dei territori in cui l’Isis tenta di radicarsi ed imporsi.

Ora, però, rigiriamo per un attimo la frittata: dato per scontato che le super potenze mondiali –Stati Uniti in primis- hanno grossi interessi legati alla vendita di armamenti ai paesi cosiddetti rivoluzionari, quale altro interesse muove, ad esempio, proprio gli USA ad interessarsi dei rapporti tra l’Ucraina e la Russia, entrando a gamba tesa nelle loro relazioni? Come mai, da un giorno all’altro, sempre gli Stati Uniti decidono di sganciare una Gbu-43 (la cosiddetta “madre di tutte le bombe”) in Afghanistan orientale, senza di fatto documentarne ex post sia le cause, sia gli effetti? Bene, qualsiasi fossero i motivi, è lecito pensare che se l’Isis fosse in grado di aumentare la portata dei suoi effetti già devastanti, non solo in termini di vittime ma anche di lesione della sicurezza nazionale (per intenderci, stile 11 settembre), con tutta probabilità anche un decisionista senza troppi fronzoli come Donald Trump sarebbe costretto a rivedere certe posizioni in chiave di politica estera e militare, cercando in tal modo non tanto di scendere a patti con i terroristi, ma di evitare quanto meno dei coinvolgimenti forzati di tanti innocenti sia americani, sia cittadini di paesi alleati.

In questo senso, volendo, potremmo ritenere che il concetto “not in my backyard” (tipica espressione americana che intende definire la più classica forma di egoismo di chi pensa solo al cortile di casa sua, fregandosene di tutto il resto) potrebbe rappresentare talvolta un’insolita forma di tutela della sicurezza nazionale e internazionale, se applicato da chi, invece, tenta sistematicamente di indirizzare le sorti di mezzo mondo in funzione di chissà quale recondito disegno. Tutti sanno che io sono un filo-americano convintissimo e che gli Stati Uniti d’America restano per me non solo una tappa ambitissima dove trascorrere giorni felici lontani dalla solita quotidianità e in un ambiente a me particolarmente gradito e congeniale, ma anche uno dei posti ideali al mondo dove, in un’altra vita, potrò forse trasferirmi per svernare otto mesi l’anno e dedicarmi ad un lavoro diverso da quello attuale. Tuttavia –e questo vale anche per la Russia di Putin- se un colosso del genere provasse per un po’ a tirarsi fuori da certe beghe, lasciando che il tempo dimostri gli effetti di questo improvviso disinteresse verso realtà culturalmente e socialmente così diverse, non sarebbe certo un segnale di debolezza o la concessione al mondo intero di poter pensare che la supremazia americana sia stranamente sfociata in un’insolita quanto inaspettata forma di autolesionismo, ma solo un approccio diverso alla politica estera. Ad esempio, i 110 miliardi di armi venduti da Trump all’Arabia Saudita, affinché “i veri musulmani siano i primi a poter combattere la radicalizzazione” avrebbero potuto anche aspettare, passando in secondo piano rispetto all’esigenza di pace e benessere di cui molti stati mediorientali (e da un po’ di tempo a questa parte anche Francia e Regno Unito, anche se in ragione decisamente minore) necessiterebbero più d’ogni altra cosa, magari ritrovando la propria identità e la serenità che dovrebbe appartenere ad ogni paese civile che si rispetti.

Non è certo questo il mio modo abituale di affrontare i problemi. Ma se le cose continuano ad andare avanti così, prima che si ricorra gioco forza agli “estremi rimedi” che potrebbero rivelarsi fatali per il mondo intero, qualcuno non potrebbe provare, almeno per un po’, a farsi gli affari suoi?

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here

Gli ultimi articoli

Stock images by Depositphotos