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giovedì, Aprile 25, 2024

Serappo: “Le società isolane non chiamano i tecnici abilitati, è una questione di soldi”

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“E’ difficile metabolizzare certe cose. Solo vivendo un certo tipo di contesto, ci si rende conto del grande salto che si è fatto. Se si pensa anche alla responsabilità che c’è”, parla così Daniele Serappo, allenatore professionista Uefa A sulla sua elezione a Consigliere AIAC (Associazione Italiana Allenatori Calcio) avvenuta poco meno di 5 mesi fa. Il tecnico, prima dell’importante incarico, ha ottenuto tanti successi sulla nostra isola, come la vittoria in Coppa Italia Dilettanti con l’Ischia nel 2004 e la promozione in Eccellenza del Lacco Ameno nel 2005, per non parlare della riorganizzazione della Scuola Calcio Torrione. “Capisco che – aggiunge Serappo – per il tifoso, il calcio è il contratto del suo beniamino, la riconferma di un allenatore, la curiosità per la nuova maglia, oppure come ad Ischia il pensiero che la propria squadra si possa iscrivere al campionato ed in quale categoria. Il calcio, però, è un universo molto più ampio. L’AIAC, quindi, ha una grande responsabilità verso il calcio ed io provo ancora tanta incredulità per esserci arrivato, cosa che fa il passo col senso di responsabilità che devi avere per poter raggiungere gli obiettivi concretamente”.

 

L’allenatore è un uomo di campo. Lei, oggi, da uomo di campo è arrivato a svolgere un lavoro più da scrivania. Come ci si rapporta con questo cambiamento?

“Cambia molto. Innanzitutto, dico che gli allenatori italiani sono i migliori del mondo perché hanno la scuola migliore del mondo. La scuola è in grado di mandare messaggi importanti. Nessuna figura, nel calcio, ha le competenze di un allenatore, che non deve solo capire di calcio, ma anche di psicologia, medicina dello sport, di carte federali, deve comprendere quello che è il bilancio di una società e parametrarlo con l’obiettivo da raggiungere. Dunque, il saper lavorare sul campo va ad arricchire quello che è un lavoro da scrivania, senza andare a perdere la capacità di stare sul campo”.

 

Quali sono i problemi che ha la sua categoria oggi? Quelli che hanno i professionisti sono diversi da quelli che dilettanti e magari quelli dei settori giovanili, oppure sono simili?

“I problemi sono simili. Il primo problema per un allenatore è avere una squadra, anche se è vero che i bravi allenano sempre. Poi, altri tecnici preferiscono aspettare contesti più consoni alle proprie qualità ed aspettative, quindi rifiutano impegni in categorie più basse. Chi è abituato alla Lega Pro, difficilmente scenderà in Eccellenza. A scendere c’è sempre tempo. Altri problemi sono riferibili alla continua voglia di aggiornarsi. Poi c’è il finto problema degli allenatori sponsorizzati, tirato in ballo spesso di chi ha difficoltà a trovare squadra. Lo sport è pieno di zone dove esistono le sponsorizzazioni, quindi è vero che un tecnico che porta uno sponsor può essere ben visto, è anche vero che se non rende prima o poi viene esonerato. Si è pieni di questi. Poi, ci sono colleghi che vivono solo di calcio e che si trovano a non venire remunerati fino in fondo dalle società. Poi, nelle giovanili si deve far fronte alla capacità di affrontare problemi come il bullismo, la pedofilia”.

 

Quindi l’AIAC in concreto aiuta in tecnici anche in questo…

“L’AIAC opera per gestire e limitare questi problemi, oltre che della formazione. Il 50% dei corsi per allenatori UEFA B sono demandati dall’AIAC e sono moto ben fatti, come quello che c’è stato ad Ischia, che ha avuto momenti formativi importanti. All’AIAC è stato demandato dal Settore Tecnico l’organizzazione dei Corsi per l’aggiornamento obbligatorio degli Allenatori Dilettanti. L’AIAC è una associazione di categoria ma è anche una componente della FIGC in ragione del 10%ed ha permesso a Tavecchio di esserne riconfermato a capo. Qui posso parlare di un altro aspetto che stiamo provando a mettere a posto, che è quello di avere un istruttore o un tecnico qualificato/abilitato per ogni squadra italiana. Questo è un problema fondamentale per la crescita del calcio italiano. Un genitore deve pretendere che suo figlio, in una Scuola Calcio, sia seguito da un istruttore abilitato. Comprendo che un non-tecnico abbia difficoltà a capire se un allenatore abilitato abbia o no le capacità per allenare bene, ma comunque deve pretendere che sul campo ce ne sia uno in possesso del titolo per poterlo fare”.

 

A parte le competenze tecnico-tattiche, qual è la indispensabile qualità deve avere un allenatore, che sia un top od un dilettante?

“Questa domanda è posta a Coverciano il primo giorno del corso da allenatore professionista. Un allenatore deve avere delle competenze enormemente variegate. Un allenatore oggi deve conoscere di psicologia, di medicina dello sport, di metodologia anche. Ma deve avere anche capacità dal punto di vista della relazione sociale, visto che in Italia abbiamo sempre più ragazzi di colore, italiani, ma che hanno una religione ed una estrazione diversa. Bisogna sapersi relazionare quando si parla alla squadra ed al singolo. Bisogna saper usare i gesti giusti, non tutti comprendono e sono abituati a certe cose. Mourinho dice, illuminando, che chi sa solo di calcio non sa nulla di calcio. Questa frase racchiude in se tutte le competenze che deve avere un allenatore. Noi stiamo lavorando proprio per accrescere le competenze dei nostri allenatori, per farne dei veri leader”.

 

Alla crescita dei tecnici isolani lei ha dato un contributo forse determinante promuovendo l’organizzazione più di un anno fa del corso per allenatori UEFA B. E’ davvero cambiato qualcosa, visto che sulla nostra isola abbondano gli allenatori della domenica?

“Dei ragazzi che hanno ottenuto l’abilitazione ad Ischia, in pochi hanno continuato. Pochi operano, anche perché avevano già operato, mentre molti per più motivi no. Sarà il tempo a dire quanto quel corso abbai dato alla crescita dei tecnici sull’isola. Però, sta di fatto che le società isolane non vanno a cercare questi ragazzi. Le società isolane non cercano allenatori abilitati ed ancora oggi danno a persone, magari appassionate ma non abilitate, la gestione dei ragazzi. Ad Ischia ci sono tanti allenatori abilitati, che in tutto sono oltre 100”.

 

Queste non chiamate sono una questione di cultura o meramente di costi?

“E’ una questione di costi, primariamente, quindi di malcostume. Se una società chiama un tecnico abilitato, è giusto che si senta chiedere x. Se invece chiama un appassionato, lo si fa chiamare mister, ma non gli si da nulla perché lo si fa allenare. Premesso che essere appassionato non vuol dire essere competente, essere competente non vuol dire essere abilitato ed essere abilitato non vuol dire essere abile. Un genitore dovrebbe dire io pretendo che l’istruttore di mio figlio sappia cosa insegnare a mio figlio. Non so perché questo non accade nel calcio, come invece accade per il judo o per la danza. Le scuole calcio devono avere persone competenti a seguire i bambini, le cui gambe sono più importanti di quelle di Totti, che è nato campione assoluto. Per un bambino che poi a 20 anni comincia a zoppicare o ad avere problemi alla schiena perché in passato ha avuto una persona che non era in grado di comprendere cosa gli stesse facendo fare, ha un solo responsabile, il suo

Genitore, che non doveva farlo andare. Se l’istruttore vale, io genitore dovrei fare la corsa a pagare anche in più per la crescita del mio bambino”.

 

Dei tanti successi che ha ottenuto sull’isola, vittorie sul campo e nell’organizzazione, quale le è rimasto più impresso e perché?

“La gioia sportiva più forte l’ho provata nel vincere la Coppa Italia con l’Ischia. Quella è una gioia che posso augurare a qualunque allenatore che ha la possibilità di allenare a casa sua. Io ho allenato ad Ischia e vinto ad Ischia. Quella notte per noi fu la vetta del mondo. Però, dal punto di vista umano, la vittoria più bella io l’ho ottenuta quando ho allenato la Juniores del Lacco Ameno, con cui riuscimmo a fare un solo punti in campionato, all’ultima partita. Quella stagione mi diede un insegnamento di una forza straordinaria, fu un grande bagno di umiltà. Quella Juniores fu una scommessa pazzesca perché quei ragazzi erano sempre stati messi da parte ma amavano il calcio. Quello che facemmo in quell’inverno, non lo dimenticheremo mai. Sarebbe bello che io dicessi che di il ricordo più bello è la promozione in Eccellenza con il Lacco Ameno, mentre invece quello che facemmo con la Juniores è stata la mia vittoria più grande. L’umiltà che mi dettero quei ragazzi, la cui crescita fu impressionante, è stata la base su cui ho fondato la mia crescita”.

 

Parlando di insegnamenti, quali figure le hanno insegnato di più nella professione?

“Quelli che mi hanno insegnato di più sono Franco Impagliazzo e Billone Monti. Taratà per il modo di approcciare un determinato tipo di calcio, anche se la vera scossa me l’ha data Monti. Dopo aver vinto la Coppa Italia con l’Ischia ed aver ottenuto il patentino come primo del corso, ricevetti la chiamata da Impagliazzo per preparare lo spareggio col Savoia. In 20 giorni gli stravolsi la preparazione. In quel momento pensavo che il mondo fosse mio e un giorno mi si avvicinò Monti e mi chiese come avessi preparato la partita ed altre cose. Billone è un innamorato, uno studioso ed un appassionato del calcio, ma è anche molto umile. E quella umiltà mi ha lasciato un segno. Sono state due persone che mi hanno insegnato molto e le persone che sono venute dopo le ho parametrate a loro. Le persone capaci e competenti spesso sono dietro l’angolo di casa, non altrove. Io oggi ho la mai coscienza di allenatore, il mio credo, le mie convinzioni, ho anche i miei dubbi, ma la spavalderia di Impagliazzo e l’umiltà di Monti sono stati due capisaldi per me. Monti è una persona eccezionale, perché sa ascoltare tutti. Le persone umili come Monti sanno insegnare qualcosa”.

 

Qual è il prossimo impegno di Serappo a Coverciano?

“Con l’umiltà che mi ha insegnato Billone, dico che spero di poter dare un contributo alla crescita del calcio e spero di coronare questa aspirazione, che non è una ambizione, che è più legata a giochi, compromessi e magheggi. Ischia ha una grande pecca, che forse è quella dei piccoli paesi: non sempre riconosce le proprie eccellenze, in qualunque campo. Noi ad Ischia abbiamo tante eccellenza anche nel calcio, ci sono colleghi bravissimi a cui va data l’opportunità. Non è giusto farli andare a rincorrere fuori quello che potrebbero avere sotto casa. Ischia potrebbe essere come l’Athletic Bilbao, dove giocano tutti baschi, però bisogna crescere da sotto con questa convinzione, questa fame e questo orgoglio, vale per i tecnici e per i ragazzi. Si può fare. Se si mettono insieme tutte le palle di neve in un solo pupazzo, difficilmente si squagliano”.

 

Come è il presidente Ulivieri? E’ davvero così burbero?

“E’ un innamorato dell’Associazione. In Italia ci sono quasi 60000 tecnici abilitati e dobbiamo lavorare per essere sempre di più e contare sempre di più. Ulivieri è al terzo mandato, quindi ha fato cose importanti. Ha lasciato il segno. Non si può dire che sia una persona facile, ma è giusto così. Oggi è il primo presidente dell’AIAC ad essere vice Presidente della FIGC. Questo ci rende orgogliosi. E’ sicuramente burbero ed a volte fa la parte del burbero. E’ di una straordinaria disponiblità, ha una parola ed un consiglio per tutti. Vive di calcio in una maniera impressionante. E’ una persona positiva e, anche se stanca, con una grande carica d’energia. A Coverciano, comunque, sono in un grande gruppo di lavoro”.

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