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mercoledì, Aprile 24, 2024

Processo a porte chiuse, minorenne indotta a prostituirsi e violentata

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Massima attenzione che tutto quello che si ascolta nell’aula di giustizia rimanga al suo interno, che nulla trapeli all’esterno. La delicatezza del processo ne impone le porte chiuse. Come disposto dal presidente del tribunale, che poco prima di chiamare ad uno ad uno i testimoni della pubblica accusa, ha inteso così garantire l’onorabilità, l’immagine, che non vi siano contraccolpi per la giovane ragazza che è stata senza volerlo al centro di una bruttissima storia. Consumatasi qualche anno fa nel comune di Forio, dove è stata al centro di attenzioni di due uomini che l’avrebbero circuita, imposto, attirata nella trappola per concedersi alle voglie represse, alla frenesia di avere un rapporto sessuale con una ragazza molto, ma molto più giovane di loro. Lo stesso tribunale ha il compito gravoso di giudicare la madre di lei, perché sostiene la pubblica accusa, l’avrebbe spinta, contro la sua volontà, a prostituirsi, a concedersi a colui che le offriva dei regali, dei soldi. Denaro che era necessario per mandare avanti la famiglia, molto disagiata, e il cui patrigno è stato per una vita intera sottoposto a diversi procedimenti penali, arrestato. Una di quelle famiglie che danno una radiografia di un tessuto sociale molto complesso e nelle cui mura domestiche sono accaduti episodi sgradevoli, impensabili. Anche se negli ultimi anni quello che è accaduto a Forio è diventata cronaca quotidiana: violenze, abusi sessuali, maltrattamenti di ogni genere.
Il tribunale ha imposto la chiusura ermetica dell’aula delle udienze disponendo che l’ingresso fosse di fatto “piantonato” e per disciplinare la chiamata dei testimoni che erano più o meno a conoscenza delle vessazioni subite dalla giovane.
I carabinieri della Stazione di Forio hanno indagato, riuscirono a creare quelle situazioni per rendere la ragazza disponibile al confronto, a dire tutta la verità, non nascondendo nulla. Scoperchiando un pentolone chiuso ermeticamente, che solo la paura, la vergogna era riuscita a non far esplodere. Perché da una parte c’era un commerciante che si era invaghito di lei e che ne aveva attirato l’attenzione mostrandosi assai disponibile ad accontentare la giovane. Ben sapendo che non avrebbe mai ricevuto reazioni da parte dei familiari di lei. Dall’altro il patrigno che in più di un’occasione si era lanciato sulla minorenne possedendola contro il suo volere. Avendo un rapporto sessuale completo, come ella stessa ha raccontato agli investigatori. Il tutto passato sotto silenzio anche con la complicità di una madre che avrebbe in qualche modo coperto i maltrattamenti che subiva nell’ambito familiare. Di essere a conoscenza che la ragazza uscisse non per stare con le proprie amiche, ma per incontrarsi con il “bruto”. Anzi, quando questo non accadeva, secondo i pubblici ministeri Clelia Mancuso e Maria Laura Lalia Morra, la spingeva ad uscire. Lanciandola di fatto tra le braccia di quest’uomo, perché sicura che avrebbe portato a casa qualche soldino. Necessario per le spese familiari.
Nelle ultime udienze sono quindi sfilati alcuni testimoni. Di quello che hanno detto, c’è il massimo riserbo. Tutto è rimasto chiuso in quell’aula dibattimentale dove i giudici sono riuniti per ricostruire la verità di quanto asserisce la procura della Repubblica.
Originariamente i due magistrati inquirenti avevano chiesto il rinvio a giudizio di tre imputati. All’udienza preliminare le strade si sono separate, avendo il commerciante, A.I., scelto il rito abbreviato, mentre gli altri due, i cosiddetti conviventi A.P. e F.M., il rito ordinario. Il primo nella speranza di essere valutato non in compagnia degli altri due per diversificare le posizioni e dimostrare che non fosse responsabile di quelle brutte storie che gli venivano addebitate dai magistrati, che in questo caso non hanno mai richiesto misure coercitive. Un’udienza preliminare con rito abbreviato che ha visto una posizione dura e intransigente del pubblico ministero, che nella requisitoria era stato molto duro. Non lasciando spazio ad alcuna generica giustificazione del comportamento tenuto dall’imputato. Ricostruendo analiticamente quali erano stati i passaggi e come l’uomo si era proposto verso la minorenne. Sottolineando anche che ad un certo punto lo stesso commerciante, nell’incrociare un’altra minorenne che accompagnava la vittima, avrebbe avuto un sussulto inibitorio cercando di attirare l’attenzione dell’amica. Forse per costruire una nuova relazione, ma a quanto pare tutto sarebbe naufragato. E’ un aspetto, questo che il pubblico ministero evidenziò per cercare di rafforzare la sua richiesta di condanna, che è stata molto superiore, a sette anni di reclusione. La difesa a mettere in dubbio le parole riferite dalla giovane nella fase delle indagini preliminari. Il processo con rito abbreviato si svolge prevalentemente sugli atti di polizia giudiziaria svolti sotto il diretto controllo del pubblico ministero. E consente alla difesa di poter consegnare documentazione o quant’altro in discolpa del proprio assistito. Quasi mai si sente un testimone, salvo che non venga espressamente richiesto dalla difesa, che tecnicamente viene definito rito abbreviato condizionato. La difesa ha puntato molto sulla mancanza di attendibilità di colei che accusava. Ponendo l’accento sul fatto che vi era stato un rapporto molto amichevole che era durato diverso tempo e che non c’era stata alcuna ribellione. Ma anzi l’imputato era oggetto di sempre più pressanti richieste. In denaro e regali vari.
Quel quadro accusatorio ha avuto una valenza. Convincendo il giudice che vi fossero le condizioni per emettere una sentenza di condanna che è arrivata puntualmente. Non raccogliendo quello che era stato richiesto dal pubblico ministero, ma ammorbidendola a cinque anni e quattro mesi di reclusione e 2.400 euro di multa. Pene accessorie di un anno durante il quale non potrà avvicinarsi o frequentare minori. Una pena che il giudice ha stabilito dovrà essere espiata al termine della eventuale detenzione. Applicando inoltre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Quello stesso giudice dell’udienza preliminare ha letto anche l’ordinanza con la quale ha spedito a giudizio il patrigno e la madre dinanzi al tribunale per varie accuse, sempre a sfondo sessuale.
Quei cinque anni e quattro mesi di reclusione pesano, e come, in capo ad A.I., per violenza sessuale che ha trovato puntuale riscontro alla prima valutazione di un giudice: «Perché, con violenza consistita nel “buttarsi addosso” con veemenza, nello sfilarle il pantalone e le mutandine, nonostante la minore lo respingesse con forza e nonostante le ripetute manifestazioni di dissenso della stessa, costringeva (omissis), minore di anni 14, a subire atti sessuali consistiti in una penetrazione vaginale. Con l’aggravante per aver commesso il reato profittando di circostanze di luogo e di persona, anche in riferimento alla minore età della vittima, tali da ostacolarne la privata difesa, avendo condotto la minore in un luogo isolato».
Per lui veniva contestato dalla Procura anche il reato di istigazione alla prostituzione: «Perché in tempi diversi compiva ripetutamente e con cadenza settimanale, atti sessuali con la minore (omissis), da quando aveva 13 anni a quando la stessa compiva gli anni 17, in cambio di denaro ed altre utilità economiche (due cellulari, ricariche telefoniche, capi di abbigliamento e scarpe)».
A fronte di questa condanna e solo dopo il deposito della motivazione, il commerciante e il suo difensore di fiducia hanno presentato appello contestando le conclusioni a cui era giunto il gup, che si sarebbe limitato solo ad analizzare pedissequamente le argomentazioni dell’accusa. Senza soffermarsi sulle contestazioni, sulla diversa lettura degli episodi e senza dire alcunché sull’attendibilità di chi lo accusava. Sarà la Corte di Appello a valutare queste circostanze di una storia assai cruda e complessa.
Il processo che prosegue a porte sigillate è nei confronti della madre e del patrigno. Entrambi rispondono di maltrattamenti in famiglia: «Perché la madre P.A. e il marito di questa M.F., maltrattavano la minore (omissis), sottoponendola a ripetute violenze fisiche e morali consistenti nel percuoterla ripetutamente, nel darle schiaffi, calci, pugni, nel colpirla con oggetti contundenti, nell’ingiuriarla anche in presenza di altre persone, nel costringerla a reperire denaro o altri beni per soddisfare le loro esigenze, nel picchiarla quando la minore non portava a casa quanto le veniva richiesto e nel lasciare la stessa in uno stato di assoluta incuria e di abbandono».
Mentre colei che l’ha tenuta in grembo per nove mesi deve difendersi anche dalla gravissima accusa di induzione alla prostituzione: «Perché induceva alla prostituzione la minore (omissis) ovvero ne favoriva e sfruttava la prostituzione, costringendola, con minacce e violenze fisiche e morali, ad avere rapporti sessuali con diversi soggetti, tra cui I.A., in cambio di denaro o altre utilità economiche, che la minore doveva consegnare alla madre per soddisfare i bisogni della stessa e della famiglia. Con l’aggravante per aver commesso il reato con abuso di relazioni domestiche, essendo la madre della minore e coabitando con la stessa».
Colui che l’avrebbe dovuta difendere, accudirla, farla crescere in un ambiente familiare sereno, viene ritenuto responsabile di violenza sessuale. Per averla aggredita un giorno, mentre erano rimasti soli in casa e abusato senza che la giovane potesse ribellarsi, difendersi: «Perché con violenza costringeva la minore a subire atti sessuali. In particolare, nell’anno 2010, con violenza consistita nel trascinarla in una stanza e, nonostante il rifiuto della minore, nello spogliarla, nello spingerla sul letto, nel “buttarsi addosso”, nel darle uno schiaffo e nell’intimarle di non dire niente a nessuno, la costringeva a subire un atto sessuale consistente in una penetrazione vaginale. Successivamente e fino all’anno 2011, con violenza consistita nel tirarla per un braccio trascinandola in un luogo isolato, approfittando dell’assenza della moglie e nonostante le ripetute manifestazioni di dissenso della minore, la costringeva a subire atti sessuali consistiti in penetrazioni vaginali. Con l’aggravante di aver approfittato di circostanze di luogo e di persona, anche in riferimento alla minore età della vittima, tali da ostacolarne la privata difesa, avendo condotto la minore in un luogo isolato e di aver abusato di relazioni domestiche, profittando della situazione di coabitazione, essendo coniugato con la madre della minore».

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