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venerdì, Aprile 19, 2024

L’Italia non è la Sicilia, elettoralmente parlando

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La vittoria delle elezioni in Sicilia da parte del centrodestra dev’essere analizzata, a mio avviso, mettendo da parte i facili clamori che il mondo dell’informazione ha inteso porre in evidenza. E questo, in particolar modo, se s’intende esaminare la chiave prospettica che ne consegue in vista delle ormai imminenti elezioni politiche 2018.

Che Berlusconi abbia dimostrato ancora una volta il suo appeal nei confronti dell’elettorato è un dato di fatto, confermato per noi Ischitani dalla sua visita del mese scorso. Siamo tutti perfettamente consapevoli, nonostante il suo apparente pessimismo rispetto ai tempi del pronunciamento della Corte Europea, che il Presidente di Forza Italia resti il più temuto competitor per Grillo e Renzi e che l’eventuale presenza del suo nome nelle liste elettorali quale candidato attivo a tutti gli effetti rappresenterebbe un impagabile valore aggiunto per la coalizione.
Il Movimento Cinque Stelle, buon secondo nella competizione in terra di Trinacria ma primo partito assoluto, si ritrova comunque con percentuali da urlo che, al momento, nessun’altra lista è in grado di intercettare da sola. Questo significa che la forza del simbolo pentastellato potrebbe rivelarsi tutt’altro che penalizzata nell’espressione delle preferenze di Camera e Senato anche da parte del più acerbo degli elettori e nonostante i grillini ancora non abbiano, nei singoli collegi, espressioni individuali della giusta notorietà. Ma su questa riflessione “tecnica” tornerò tra breve.
Renzi ormai finito? Poveri voi! Vi dimettereste con una segreteria politica conquistata con due milioni di preferenze, ancorché sensibilmente taroccate da un sistema di tesseramento e accesso al voto PD che non garantisce nessuno? E anche il buon Matteo non ci pensa nemmeno, pronto com’è a comunicare da degno “figlio di Berlusconi” che la debacle siciliana è a sua volta figlia dello scisma MDP (“Lo sapevamo già”).
Bene! Se è vero, com’è vero, che tutti e due i leader dei partiti o raggruppamenti che hanno contribuito all’approvazione del Rosatellum bis erano da tempo consapevoli delle proiezioni elettorali della Regione Sicilia, io proprio non riesco a spiegarmi per quale motivo abbiano deciso di approvarlo, per giunta a colpi di fiducia. Renzi sa bene di ritrovarsi con il PD negli ultimi sondaggi leggermente al di sotto del 25%, così come Berlusconi e Salvini sanno di equivalersi intorno a un 15% per uno con Forza Italia e Lega. Eppure, se analizziamo la nuova legge elettorale (e qui mi riallaccio a un paio di capoversi fa), laddove i candidati del maggioritario dovrebbero in qualche modo trainare quelli nel proporzionale (lo ricordiamo, saranno tutti sulla stessa scheda), Renzi non avrà speranze di andare oltre un terzo piazzamento assoluto, il centrodestra risulterà estremamente penalizzato al sud non avendo più la stessa forza d’urto presente al nord con la Lega (quella che un tempo con Alleanza Nazionale completava la corazzata anche nel Meridione) e i Cinquestelle potrebbero beneficiare in maniera alquanto uniforme di tale sistema elettorale, la cui genesi fondava proprio sulla necessità di ridimensionare le possibilità di crescita dei Grillini e mitigarne il rischio-vittoria.
I collegi campani per la Camera dei Deputati saranno 22, ciascuno da circa 250.000 abitanti; quelli al Senato saranno esattamente la metà, ovviamente con il doppio degli abitanti di riferimento. Questo rende pressoché impossibile, sempre per la parte che riguarda il maggioritario, identificare un candidato uniformemente radicato su territori così estesi, accostando più che mai, in proporzioni ovviamente minori, le elezioni politiche a quelle europee. Anche per questo motivo, deduco che i folli che accetteranno di candidarsi nel maggioritario con il PD o il centrodestra (tralascio per ovvi motivi quelli legati ai partiti numericamente minori) senza il cosiddetto “paracadute” nel proporzionale, prim’ancora che le loro capacità retoriche o la loro credibilità, dovranno mettere in campo risorse economiche decisamente difficili da recuperare per chi non ha nel DNA l’indole cleptomane.
Tutto ciò premesso, ecco dimostrato perché il dato delle elezioni che hanno da pochi giorni incoronato Nello Musumeci nuovo Presidente della Regione Sicilia non può e non dev’essere considerato totalmente attendibile per il prossimo appuntamento elettorale nazionale. Si tratta di circostanze del tutto diverse, con dati oggettivi d’indiscutibile importanza (come si fa a non considerare che Angelino Alfano, praticamente a casa sua, non è riuscito a raggiungere con AP la soglia minima per l’accesso al parlamentino siculo…) ma che, convertiti in un panorama molto più esteso e con un sistema di voto per giunta nuovo, non sono in grado di fornire nessun genere di garanzia.
Sono certo, invece, di un astensionismo ricorrente che avrà a ripetersi a marzo e di un quasi scontato rafforzamento del populismo spicciolo e inutile di chi pensa che basti abbaiare alla luna per affrontare i problemi, senza tener conto delle soluzioni vere e delle competenze che occorrono per reperirle e adottarle. Tuttavia da uomo di centrodestra, spero vivamente che vi sia la consapevolezza di un voto utile a chi, concretamente, concorrerà per guidare il Paese e farlo con programmi e azioni concrete e degne di statisti degni di tale appellativo.
Sarà una primavera impegnativa!

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