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giovedì, Aprile 18, 2024

La qualità della vita

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Avete già raggiunto l’età in cui, specialmente dopo il giro di boa dei “cinquanta”, la qualità della vita assume un’importanza fondamentale rispetto alla gestione del Vostro tempo e delle risorse a Vostra disposizione? Beh, la “qualità della vita” è proprio l’argomento che ho scelto quest’oggi e che cercherò di trattare con la consueta lucidità, senza che l’esperienza personale vada oltre il semplice contributo d’idee e consapevole di non voler ispirare o condizionare nessuno rispetto a certe valutazioni.

Lasciarsi avviluppare dalle nostre abitudini e, soprattutto, da quelle del nostro contesto sociale, rappresenta una fase antitetica a quella che, in un dato momento del nostro cammino lungo le strade di questo mondo, ci si sente in dovere di tenere nella giusta considerazione. Tendiamo troppo a lungo, nel corso della nostra vita, a porre il lavoro e i nostri ritmi frenetici al centro dei singoli comportamenti, unendovi la smania di far soldi per correre dietro agli status symbol del momento e a quegli obiettivi voluttuari la cui considerazione eccessiva è frutto del drammatico testacoda dei bisogni e dei valori che ci appartengono.

E poi, ogni qualvolta si viene a conoscenza –partecipandolo- di un lutto inaspettato o di un problema di salute occorso ad una persona cara (non necessariamente parente), ci si abbandona a quelle considerazioni in stile “cosa siamo”, “si corre si corre, e poi…”, “’a vita è nu muorzo” e “ma quanne c’a ramm ‘na calmata”, salvo poi rituffarci, un attimo dopo, nella nostra frenetica quotidianità.

Mi è sempre piaciuto molto quell’aforisma tremendamente fatalista ed epicureo, che recita testualmente: “Truòvete ‘u ‘bbene, ca ‘u ‘mmale vene sul iss” (per chi ci legge oltre Teano, “goditi le cose belle, perché i guai vengono da soli”). Si tratta di un modello ispiratore tutt’altro che facile da seguire: la sua gestione, in molti casi, può rivelarsi estremamente pericolosa, ponendo spesso l’individuo nelle condizioni di incorrere in uno stile di vita non confacente né alla sua formazione culturale né al contesto in cui vive né, tantomeno, alle sue possibilità economiche. Giusto per fare un esempio che mi riguardi, ormai da anni ho fatto in modo che il mio orario di lavoro, salvo trasferte in terraferma, rispetti canoni molto più settentrionali che meridionali: gli uffici aprono alle 8.30 e chiudono alle 13.00, per poi riaprire alle 14.30 e chiudere definitivamente alle 17.30. E i miei collaboratori sono estremamente contenti, concentrando le proprie attività in fasce orarie che, per cinque giorni a settimana, consentono loro di trovare spazio per famiglia, passioni e abitudini, coltivabili ampiamente in un fine settimana libero e spensierato. Così come, una volta adempiuto ai principali compiti lavorativi della giornata, anch’io sono solito dedicarmi ad attività legate alla famiglia, alla casa e, perché no, a qualche hobby mai giunto a noia, come il tennis, i cani e la caccia, o l’eterno piacere di divorare un buon libro o, last but not least, un fine settimana “fuori porta” o un viaggio più lungo verso le mete preferite, piuttosto che alla scoperta di posti nuovi.

La ricerca della felicità non è poi così difficile da concretizzare, ma –lo ripeto ancora una volta- deve essere condita dall’intelligenza di non rapportarsi mai a modelli che non sono alla nostra portata, magari trasformando l’impossibilità di raggiungerli in pericolosi motivi di frustrazione ed inquietudine. Al pari di come anche la selezione delle nostre frequentazioni, fino a giungere alla scelta del posto in cui vivere, possono determinare scelte particolarmente rivoluzionarie, costringendoci a volte a mettere da parte (come nel mio caso) la tua naturale propensione alle relazioni e alla disponibilità verso il prossimo, rendendoti estremamente più selettivo, spesso intollerante e, a tratti, addirittura razzista, in particolare verso quell’ignoranza diffusa che sa di presunzione e che, almeno alla mia età, è veramente troppo difficile da sopportare.

Ischia, come sempre, amplifica questo genere di considerazioni. Del resto, chi meglio di noi conosce il rischio d’implosione della nostra condizione insulare? Nessuno più di chi ci vive sa quanto sia semplice sentirsi scontenti di incontrare sempre la stessa gente, fare sempre le stesse cose e trascorrere il proprio tempo spesso allo stesso modo, al punto da rifugiarsi in quei luoghi comuni che costituiscono un modo per parlarsi addosso, più che la reale voglia di cambiare aria. E nessuno più di un isolano autoctono può essere consapevole della difficoltà, tanto per i nostri giovani quanto per noi adulti, di riscontrare nel “piccolo centro tra di noi” quegli esempi pronti a rappresentare degnamente i veri valori del sociale. Eppure, se poi parliamo di “diversivi”, di “novità”, di “momenti di confronto pronti ad arricchirci”, è fin troppo facile rendersi conto quanto sia realmente difficile incontrare qualche nostro concittadino che abbia il fegato di esporsi al cambiamento per migliorare, in concreto e non a chiacchiere, la propria “qualità della vita”. Anzi, quando qualcuno ci riesce, piuttosto che ammirarlo e imitarlo, ci si lascia accecare dall’invidia e dalla voglia spasmodica di fargli i conti in tasca, puntandogli il dito contro ma limitandosi a vedere “Pulcinella quann va ‘ncarrozz” e non anche “quann tir ‘a carrett”.

Quanti di Voi, dopo aver letto questo pezzo, analizzeranno in modo obiettivo la propria capacità di migliorare la qualità della loro vita, mettendone seriamente in discussione la consolidata quotidianità? Io Ve lo auguro di vero cuore. Perché, chi più chi meno, tutti meritiamo di vivere meglio. Tutti meritiamo di più. Anche Ischia!

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