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giovedì, Aprile 18, 2024

La genuinità, l’ambiente, il progresso

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4WARD di Davide Conte

I recenti servizi giornalistici televisivi d’inchiesta sul food and beverage “Made in Italy”, oggetto di numerose incongruenze e, talvolta, finanche in preda all’illegalità, non scoprono certamente l’acqua calda. Mai ci saremmo aspettati, ad esempio, che il nostro agroalimentare, parte integrante di quella fortissima tradizione enogastronomica che ci rende inimitabili ed ambitissimi al mondo, avrebbe potuto rivelarsi a rischio così come stiamo assistendo negli ultimi tempi. Eppure è proprio così! Non stiamo parlando di semplice contraffazione: ormai il problema da arginare è quello sulla reale provenienza dei prodotti e sui trattamenti –spesso illegali- praticati nel corso della coltivazione. E ciò che è ancora più grave è la strana, insolita e (si spera) inconsapevole connivenza di chi dovrebbe controllare attraverso il potere legislativo.

Parliamoci chiaro, i fuorilegge sono sempre esistiti: chiamateli falsari, avvelenatori, incoscienti privi del benché minimo rispetto dei requisiti igienico-sanitari o delle normative vigenti… la storia è piena di persone ed aziende che hanno dribblato per mille motivi gli obblighi spesso onerosissimi derivanti dalla burocrazia. Ma ciò che stupisce è quando sia proprio la Legge a far sponda a realtà imprenditoriali di casa nostra che sempre più di frequente ricorrono ad approvvigionamenti esteri per risparmiare a danno del consumatore e della qualità in generale, ma soprattutto falsando tutt’altro che contra legem la reale origine dei prodotti.

Ricordate la vecchia denuncia dei coltivatori di pomodori San Marzano? Oggi stiamo andando ben oltre! Quei fenomeni d’importazione di uno dei più genuini prodotti agricoli della nostra nazione sono addirittura peggiorati. Proprio quei servizi giornalistici che ho citato in premessa, infatti, ci hanno rivelato che conserve di pomodoro prodotte in Cina ed importate in Italia, possono essere semplicemente travasate e, con pochissimi accorgimenti nel riconfezionamento, spacciate per prodotto italiano. Stessa cosa, saltando per un attimo di palo in frasca, vale per il tessile: un settimanale tedesco ha recentemente rivelato che capi d’abbigliamento ufficialmente prodotti in India, tornano in Italia subendo piccolissime lavorazioni (talvolta anche solo un cambio di bottoni) per risultare a tutti gli effetti di nostra produzione.

Al di là della mera incongruenza, questo genere di fenomeno meriterebbe una riflessione un po’ più approfondita. In effetti, se ci ragioniamo, le mille forme di progresso e di accelerazione forzata a che caratterizzano i ritmi frenetici della nostra quotidianità, ci stanno portando ad uno smarrimento totale dei valori essenziali, finanche quelli che dovrebbero spingerci a tutelare in ogni sede e senza soluzione di continuità le ricchezze naturali che abbiamo a disposizione. Non starò qui a disquisire ancora una volta, restando con il puntatore sulla nostra Isola, sui livelli di inciviltà e strafottenza diffusi dalle nostre parti, ma credo che se ciascuno di noi si concentrasse un po’ sui rischi derivanti dalla “perdita di genuinità” che sta gradualmente toccando tutto quanto ci circonda, correre ai ripari dovrebbe risultare molto più di un semplice atto dovuto.

Il dono di Dio di vivere su un’isola come la nostra è inficiato, ad esempio, da un livello di traffico ormai insopportabile. A ciò si aggiunge, oltre al graduale inquinamento dell’aria (per fortuna ancora ampiamente sotto i livelli di guardia), la mancanza di volontà –e talvolta la strafottenza politica- di affrontare seriamente il problema della depurazione, pregiudicando gravemente l’ecosistema marino e le falde termali, cioè il vero “oro di Ischia”. Con tutta probabilità, oltre a dover provvedere con urgenza a debellare questi due gravi problemi, la rivalutazione della nostra cultura agricola nell’ambito squisitamente domestico potrebbe essere un’altra importante scelta di civiltà. Abbiamo la fortuna, con la nostra famiglia, di possedere un fondo agricolo davanti casa e già da tempo, con qualche aiuto e la preziosa supervisione di nostro padre, ricaviamo dal nostro terreno tantissimi prodotti: uova fresche, conigli e polli, frutta, ortaggi e verdura in notevoli quantità, comunque commisurate al fabbisogno delle nostre famiglie. Si tratta senza dubbio di un costo da considerare nell’ambito di un bilancio familiare, ma che non ha prezzo rispetto alla ricchezza di un’alimentazione a chilometri zero che di certo non possono permettersi tutti, ma che attraverso la condivisione può facilitare la scelta di orientarsi verso un’indiscutibile e garantita genuinità.

Attribuisco a Giovan Giuseppe Mazzella la primogenitura dell’idea di diffondere ad Ischia il cosiddetto “orto condiviso” e conosco amici che, riunitisi con una proficua capacità di stare insieme, l’hanno adottata da tempo. Bene, è senz’altro un buon inizio. Ma serve anche una giusta politica di diffusione nell’ambito scolastico di quella tradizione contadina che potrebbe essere ancora incardinata alla base delle generazioni successive alla nostra. Lodevoli già da anni, ad esempio, sono i progetti PON sviluppati dal Circolo Didattico Ischia 2 della dinamica dirigente Patrizia Rossetti, laddove i bambini delle elementari approcciano concretamente alla terra, creando e curando proprio nel backyard del Plesso Buonocore un vero e proprio orto, sotto la guida di esperti del settore. Iniziative del genere, estese anche a ben articolati programmi di educazione ambientale, potrebbero contribuire concretamente ad una seria inversione di tendenza qui ad Ischia, arginando almeno in parte i danni derivanti dal nostro modo smodato di vivere il progresso.

Tutto questo, ovviamente, senza poterci esimere dalla necessità di sollecitare in ogni sede e modo l’adozione di provvedimenti legislativi che eliminino una volta e per tutte il danno e la beffa di venir buggerati sia come semplici consumatori, sia come italiani. Perché –forse val la pena ricordarlo- Ischia fa ancora parte dell’Italia. E la sua voce, opportunamente utilizzata, ha sempre avuto il giusto peso in ogni sede.

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