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martedì, Aprile 23, 2024

Kenya Invisible Kids un gruppo d’amici dopo una vacanza in Kenya decidono d’aiutare i bambini malati invisibili

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Anna Lamonaca | Ogni volta che incontriamo la dottoressa Salma, una pediatra mussulmana, dopo che abbiamo aiutato un bambino invisibile, lei ci saluta dicendo: “Inshallah” che significa “Se Dio vuole” e noi le rispondiamo in napoletano: “Salma a Maronna t’accumpagna”.- lei ci chiede cosa significa e noi le spieghiamo: “Quasi lo stesso”- Comincia così la mia intervista a Massimo Vita, Pina Fierro, Giorgio  Sudetti, Carmela Pesce e Maria Giovanna Gaglione, non sono medici, né missionari, ma laici che pur non appartenendo ad organizzazioni umanitarie si occupano di beneficenza, amici che sentono il bisogno di restituire una parte di quello che la vita ha donato loro ai bambini invisibili del Kenja. Questi 5 amici (un rappresentante, un tecnico di laboratorio, un giardiniere, 2 infermiere dell’Ospedale Rizzoli d’Ischia) dopo una vacanza in Kenja hanno conosciuto le contraddizioni di questo paese ed hanno incontrato tanti bambini invisibili che vivono ai confini dei villaggi turistici, relegati, dove nessuno li vede, abbandonati a sé stessi, alla povertà ed alle malattie. Hanno deciso di far operare i bambini malati, donando apparecchiature mediche agli ospedali, materiali alle scuole, vestiario e giocattoli, fornendo aiuto prezioso che consente di salvare la vita a molti ogni anno e da ciò è nato Kenya Invisible Kids: -“Non siamo una Onlus, non abbiamo una sede ed ogni euro raccolto viene usato per i bambini. Tutte le spese di gestione sono a nostro carico. Ci siamo messi d’accordo con alcuni pediatri di Malindi e Nairobi ed abbiamo cominciato ad offrire un supporto economico alle famiglie di Watamu, Kilifi e Malindi che avevano la necessità di far operare i propri bambini, non avendone la possibilità economica. In vacanza abbiamo soggiornato nella parte più ricca del Paese, ma ci è bastato allontanarci di pochi Km nel bush per scoprire la vera povertà, quella che nessuno immagina, fatta di odori, silenzi, solitudine e disperazione delle famiglie.”-  Li ho incontrati e la loro storia è quella di persone comuni provenienti da varie parti d’Italia (Ischia, Torino, Trofarello, Napoli) che si sono incontrate per caso in terra africana:

Come nasce Kenja Invisible Kids?

“Dopo una vacanza in Kenja abbiamo deciso di fare qualcosa per aiutare la popolazione. Abbiamo provato con scuole, orfanotrofi e supportato organizzazioni, ma non essendo contenti della trasparenza e dei risultati ottenuti, abbiamo deciso d’organizzarci personalmente: soldi, impegno e soprattutto la faccia.”

Chi sono gli Invisible Kids?

“Sono bambini che non riescono ad avere cure, per negligenza della loro stessa famiglia. I bambini in Kenja non sono considerati bene prezioso ed unico come da noi. Un bambino ammalato o il cui costo delle cure mediche è troppo elevato viene spesso trascurato.”

Cosa avete provato entrando in un povera casa?

E’ stato sgomento ed incredulità, sembrava impossibile che una casetta di mattoni e lamiere o una capanna potessero accogliere tanti bambini che di notte dormissero su giacigli di sacco e paglia o su materassi a terra ad incastro, ma ciò che ci ha sconvolto è stato il loro sorriso, il loro essere felici nonostante il niente.”

Bastano cose di scarso valore per farli felici?

E’così, un giocattolo rotto, uno spazzolino da denti, un avanzo di sapone, una moltitudine d’oggetti che noi cestiniamo, ma per loro un paio di ciabatte rotte, allevia il dolore del camminare scalzi, è indescrivibile la loro riconoscenza.”

Le risorse naturali del Kenia vengono sfruttate dai paesi industrializzati mentre esistono villaggi poverissimi. Questo fenomeno può essere mitigato da norme del governo locale?

Sono scelte dei piani alti della politica, non solo keniana. Noi di politica non c’interessiamo. Pensiamo solo ai bambini a cui con pochi spiccioli, riusciamo a salvare la vita.”

Non avete né sede, né sponsor, quanto coraggio è necessario per riuscire a dare un aiuto concreto ai bambini sfortunati?

“I sacrifici per aiutare i bambini sono tanti. La nostra sede è un gruppo su un social network, comunichiamo tra noi e con i medici dell’ospedale di Malindi col cellulare. Un sacrificio è la raccolta fondi, non appartenendo ad associazioni, ma essendo solo un gruppo d’amici, ognuno s’ingegna. Alcuni di noi costruiscono oggetti che poi offriamo in cambio di una donazione, altri più inclini alla comunicazione s’improvvisano narratori dei progetti del Kenja Invisible Kids in vari contesti come quello scolastico, sportivo ecc, ma il sacrificio più grande è conquistare la fiducia dei donatori.”

In Kenya avete dei contatti importanti?

“Collaboriamo con l’ospedale pubblico di Malindi col direttore sanitario e con i responsabili di pediatria e neonatologia. I  risultati ottenuti ci hanno portato ad avere rapporti con il Ministro della Salute e con altre importanti organizzazioni legate allo Stato Keniano. Però preferiamo rimanere concentrati sugli aiuti diretti che possiamo dare ai bambini ed a quanti riusciamo a salvare ogni anno, la politica non fa per noi.”

Cosa provate quando un bimbo malato guarisce?

“Ogni bambino ha i suoi problemi e quando riusciamo a farli guarire è una gran soddisfazione. Ricordiamo quelli che purtroppo non siamo riusciti a salvare, morti negli interventi o di tumore a cui abbiamo potuto pagare solo la terapia del dolore. Non si dimenticano.”

Avete donato un respiratore automatico al reparto di neonatologia dell’ospedale di Malindi, ciò è un beneficio per i bambini che soffrono. Recentemente ne avete donato un altro perché?

Un 1° respiratore è stato donato dopo una visita nel reparto di neonatologia del General Hospital of Malindi, molti bambini in Africa, nascono prematuri e con problemi respiratori, la ventilazione assistita è necessaria per sopravvivere. Il 2° è stato donato per questioni mediche, alcuni dei bambini nascono con patologie gravi come l’HIV e altre malattie trasmesse dalla madre durante la gestazione. Un solo respiratore non avrebbe permesso d’aiutare anche loro.”

L’ignoranza, la superstizione, la credenza nel malocchio non vi aiuta, la morte viene considerata in modo superficiale ed i bambini malati diventano un peso. Ci raccontate un episodio?

“La madre di un bimbo di pochi mesi con un tumore linfatico terminale, era impaziente che il figlio morisse per uscire dall’ospedale perché a casa aveva altri 10 bambini. Sembra incredibile, ma è quello che abbiamo vissuto sulla nostra pelle.”

Raccogliete offerte volontarie attraverso il passaparola e le gestite con trasparenza. Chi vuole aiutarvi come può fare?

“Non siamo una Onlus. Siamo persone che aiutano, ci mettiamo la faccia ed il cuore. Abbiamo una pagina FB ed un sito, basta contattarci e noi renderemo conto di come abbiamo utilizzato  le donazioni fino all’ultimo centesimo.”

Avete visitato le scuole locali in capanne ed in poco tempo ne avete ristrutturato una realizzando 3 bagni…

La scuola era nel distretto di Musoloni, ma era obsoleta, l’idea di rimodernarla è partita dopo una vacanza di una di noi che ha coinvolto medici ed infermieri dell’Ospedale d’Ischia realizzando un calendario e con l’aiuto d’altri amici di Torino l’abbiamo ristrutturata. Non è  stata costruita da Kenja Invisible Kids, ma ora è ristrutturata da noi.”

Queste esperienze vi hanno cambiato la vita?

E’ un caso essere nati nella parte giusta del mondo. Ti senti piccolo e provi vergogna, andare in Kenya è un atto dovuto. Questa povertà e degrado sono il prezzo che loro pagano da secoli per il nostro benessere. Noi li aiutiamo, non salviamo il continente, ma riceviamo molto più di quello che doniamo. Sembra strano, ma ogni anno appena tocchiamo la terra africana esclamiamo: “finalmente a casa”!”

A quando la prossima partenza e progetti?

“Vorremmo ripartire subito, ciò non è possibile per il lavoro, lì c’è la dottoressa Salma (responsabile del reparto di neonatologia) che ci tiene aggiornati. Nel futuro vorremmo continuare dedicarci ai bambini invisibili dei vicoli fatiscenti del paese. L’Africa ci stupisce, ci fa crescere ed alla partenza ci sussurra: TORNATE  e noi TORNIAMO se Dio vuole e la Madonna c’accompagna.”

1 COMMENT

  1. “Non siamo una onlus”…quindi accettate donazioni in nero, le portate in un Paese straniero senza denunciarle, non avete ricevute né presentate bilancio della vostra attività, non partecipate a forum né siete segnalati all’Ambasciata d’Italia in Kenya o alla Cooperazione Italiana allo Sviluppo, non fate parte del COIKE, non vi aggiornate sulle leggi e le regole della solidarietà in Kenya, non avete progetti ma semplicemente date una mano seguendo il vostro istinto.
    Tutto lodevole, ma sarebbe meglio non pubblicizzarlo. Fate da soli, con i vostri amici ma per fare le cose con serietà, e non solo con entusiasmo da “turisti della solidarietà”, sarebbe meglio affidarvi a una ONG che opera in Kenya o ad una realtà locale consolidata.

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