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venerdì, Aprile 19, 2024

Italia e Italiani “da rifare”

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Le parole di Gigi Buffon nella sua intervista tra le lacrime al termine di Italia-Svezia di lunedì scorso hanno concesso uno spunto di riflessione a tutti noi: non tanto sulla presa d’atto del fallimento sportivo, che nessuno ritengo abbia la capacità o il fegato di disconoscere (non fosse altro che per i quasi sessant’anni che ci separavano dall’ultima analoga disfatta), ma sul fallimento sociale nei confronti di un intero Paese che, già di per sé, è da tempo sull’orlo di un fallimento più che annunciato e puntualmente riscontrabile anche dal più distratto dei cittadini italiani.

La situazione in cui versa l’Italia ormai da decenni si può agevolmente rispecchiare, indipendentemente dal punto di vista, con quella dello sport più diffuso dalle sue parti. Il nostro è un Paese vecchio, laddove gli spunti e le opportunità per i giovani non trovano la benché minima, concreta applicazione, al punto da indurre molti di loro, insieme ai genitori attenti che ancora esistono in circolazione, a valutare la necessità di tornare a guardare oltre confine per poter contare su un barlume di avvenire, subendo la beffa di chi ritiene che provvedimenti come lo “ius soli” siano tra le reali priorità da approvare indifferibilmente per il bene di tutti. Ho seguito di recente mio figlio in alcune visionature con squadre di calcio professionistiche e ho avuto modo di toccare con mano quale sia la disfatta sportiva dei vivai di casa nostra; quelli che, come ha scritto giustamente il direttore della “rosea”, Monti, ricevono solo dalle società più virtuose e solide della nostra serie A un investimento annuo che non supera i dieci milioni di euro, ma che all’estero ottengono invece ben oltre il 10% dei sontuosi fatturati di realtà come il Barcellona, il Real Madrid e molte altre. In Germania, negli ultimi quattordici anni, è stato investito dalla federcalcio tedesca oltre un miliardo di euro, creando oltre quaranta “regioni calcistiche” con strutture sportive di alto livello pronte ad accogliere, mettere a confronto e far crescere i giovani più promettenti di ogni “land”; e come se non bastasse, ogni squadra della Bundesliga deve avere nella sua rosa almeno dodici elementi convocabili nella nazionale tedesca, condizione essenziale per ottenere una quota del 2% dei diritti televisivi da assegnare. I risultati di questa politica teutonica sono sotto gli occhi di tutti; in Italia, invece, i settori giovanili che contano sono trasformati, nella quasi totalità dei casi, in autentiche macchine da soldi, nuclei affaristici che “pescano” giovani dall’est europeo all’Africa, passando per il Sud e Centro America, preferendoli sistematicamente ai pur promettenti “allievi” o “primavera” italiani che, loro malgrado, restano in un immeritato dimenticatoio. E poi pretendiamo una Nazionale all’altezza…

Non ci si può aspettare troppo di più dal calcio italiano, perché esso è in fuori giri da tempo, proprio come il nostro Paese. Un Paese laddove, come faceva notare qualcuno, le pur approfondite indagini di Polizia Giudiziaria e l’azione ficcante della Magistratura lasciano spesso impuniti molti delinquenti e talvolta colpiscono autentici innocenti per ingiustificati eccessi di zelo alla ricerca della visibilità; un servizio giornalistico ben diffuso e confezionato, invece, spesso scaturisce arresti immediati e provvedimenti restrittivi. Come dire, in Italia conta più un giornalista che un inquirente? Giudicate Voi! Così come si può riscontrare agevolmente la totale assenza dello Stato rispetto ai diritti fondamentali di ciascuno di noi, alle esigenze delle famiglie e delle imprese (i cui destini s’incrociano spesso tra gli effetti negativi di una burocrazia che impedisce ogni genere di sviluppo e un’oppressione fiscale a dir poco esasperante) e alla totale incapacità di porsi obiettivi oggettivamente condivisibili che vadano oltre l’approvazione di una Legge elettorale a colpi di fiducia parlamentare.

L’Italia va rifondata, ripensata! E con essa, anche gli Italiani. Quegli Italiani che s’indignano in modo esasperato dell’eliminazione della loro Nazionale di calcio dai prossimi campionati del mondo, ma che fanno finta di nulla quando nel loro territorio vengono ridotti al lumicino i cosiddetti servizi essenziali, o mentre –per fare un esempio tutto ischitano- sei sindaci non riescono a “sintonizzarsi” neppure un attimo per discutere del bene comune, scevri dai personalismi, dagli affarucci e dalla logica del campanile e della clientela spicciola, noncuranti finanche di un autentico dramma quali le conseguenze del terremoto del 21 agosto scorso. Non c’è futuro per i nostri giovani, tanto aspiranti calciatori quanto semplici impiegati, professionisti o imprenditori, ma in Italia si allontana anche il “futuro degli anziani”, con un’età pensionabile sempre più incognita e indefinita che non dà alcuna certezza sull’autosufficienza e sulla serenità di affrontare i propri anni d’argento quale degni premi per i sacrifici di una vita. Eppure queste cose possono anche passare sotto silenzio; non come le responsabilità di Ventura sulle scelte dei titolari, del modulo e dei cambi, sul mancato impiego di Insigne, sulla vetustà di alcuni “senatori” o sulla necessità di cacciare quanto prima il presidente federale Tavecchio per aver affidato le speranze di qualificazione ad un allenatore quasi settantenne e fuori dal tempo almeno quanto lui, rispetto alle esigenze del cosiddetto “calcio moderno”. No, questo no. Come poterlo tacere…

Mi sia concesso, ad onor della verità, di essere totalmente d’accordo con Gigi Buffon, uomo-simbolo di questa Nazionale tutta da dimenticare, lui compreso: la debacle calcistica italiana contro i nuovi “coreani svedesi”, ancor più grave in quanto pervenuta in fase di qualificazione e non a competizione in corso d’opera come in passato, a mio giudizio non meriterebbe neppure d’essere inserita nel novero della cronaca rilevante. Perché, riflettendoci bene, c’era da aspettarselo. Diversa, invece, è l’entità del fallimento sociale dell’Italia di Ventura, perché perfettamente allineato a quello altrettanto imminente e prevedibile di un sistema-nazione che se non dovesse trovare a strettissimo giro la forza, gli uomini e le capacità per svoltare, coinvolgerebbe tutti noi in un vortice autodistruttivo di inimmaginabile portata.

Oggi, con tutta probabilità, anche Massimo D’Azeglio, dalla fine dell’ottocento ad oggi, si starà rivoltando nella tomba. Che piaccia o no, l’Italia (calcistica e non) e gli Italiani, sono decisamente da rifare.

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