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martedì, Marzo 19, 2024

Il decreto sicurezza e la licenza di uccidere

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Ho avuto modo di scriverlo anche sui social, dopo l’approvazione: mi sono sforzato in tutti i modi a trovare qualcosa che non andasse nel Decreto Sicurezza fortemente voluto e approvato dal Parlamento a maggioranza gialloverde, ma a onor del vero non ci sono proprio riuscito.

Non sono un particolare sostenitore di Salvini e men che meno del Movimento Cinque Stelle; tuttavia, ho sempre sostenuto il loro diritto a governare e anche a sbagliare, così com’è umano ed è stato concesso a chiunque lo ha già fatto in passato. E di Salvini in particolare, apprezzo la capacità di comunicare in modo diretto, chiaro ed essenziale e, al tempo stesso, la coerenza operativa con quanto ha sempre sostenuto da semplice leader di partito. Del resto, non è un caso che il suo gradimento sia alle stelle; ed è riduttivo pensare che tale successo sia legato a motivazioni squisitamente populistiche.

Ma torniamo al tema del giorno: ridimensionamento dei permessi di soggiorno, aumento dei reati comportanti la revoca dello stato d’asilo, perdita della cittadinanza per reati di terrorismo, riduzione dei benefici derivanti dal sistema SPRAR, istruttoria più attenta per la concessione della cittadinanza italiana, il taser alla polizia locale, il DASPO urbano, la stretta sugli sgomberi,  l’accattonaggio molesto, le limitazioni ai negozi etnici e ai loro orari d’apertura diuturna, il contributo economico delle squadre di calcio alla sicurezza sugli stadi e tante altre novità, rappresentano un’autentica svolta nel modo di concepire la pubblica amministrazione e i rapporti con la cittadinanza, autoctona e non.

Ho già avuto modo di riconoscere a Salvini la capacità (del tutto indipendente dai suoi modi poco diplomatici di porsi) di assumere un atteggiamento utile a riconoscere nuovamente all’Italia quella dignità negata per anni sul tema dell’immigrazione clandestina (e non solo). Sposo con altrettanto piacere l’avvento di questo decreto sicurezza e non mi lego certo alla logica benpensante di chi, pur di andare controcorrente, si ostina a criticare ad ogni costo l’operato dell’esecutivo in carica e del leader leghista in particolare, forse perché conscio di non avere migliori argomentazioni per tentare di risalire la china di una crisi irreversibile. Sono meno convinto, invece, della bontà di una possibile legge che sancisca l’ufficialità di quella “legittima difesa” tanto sbandierata da Salvini e i suoi seguaci. Che, come dice lui, “la difesa è sempre legittima” è un fatto indiscutibile, ma che una legge dello Stato tramuti la sete di giustizia di ciascun cittadino in una sorta di “licenza di uccidere” mi sa tanto di un ritorno ad una forma di società ancestrale in cui ciascuno è libero di trasformare casa sua in una sorta di feudo, le cui regole sono rapportate esclusivamente al diritto di proprietà e alla sua tutela.

Sia chiaro, la situazione esasperante in cui si è trovato il gommista di Monte San Savino (38 furti in pochi mesi) e che lo ha costretto a vivere all’interno della sua ormai martoriata azienda, non è tollerabile in un paese civile. Va anche detto, però, che sapere di poter usare un’arma senza neppure lo scrupolo di doverne valutare le conseguenze, grazie ad una legge che ti rende pressoché impunito, rappresenta a mio avviso una condizione altrettanto medievale e meritevole di maggior attenzione da parte del legislatore. E lo dico da titolare di porto d’armi!

E’ pur vero che già l’applicazione del Decreto Sicurezza, unitamente ad un’auspicabile azione evolutiva delle forze di polizia quanto a uomini e mezzi, potrebbe contribuire di suo a ridurre sensibilmente il fenomeno di questi episodi di criminalità apparentemente incruenta, ma di certo non meno impattanti sulla quotidianità dei nostri contesti sociali. Ma se così non fosse, come si potrà mai conciliare in modo razionale la sete di giustizia di persone oltremodo provate da questo genere di reati contro il patrimonio con la necessità di conservare, al tempo stesso, la “umanità” di una giustizia che al di là di ogni valore proprio della nostra religione, non può e non deve dimenticare il rispetto della vita e la necessità di rendere sempre più efficace il nostro sistema giudiziario?

L’isola d’Ischia ormai da tempo, al pari di tante altre località italiane, è stata un esempio abbastanza positivo di integrazione sociale. Ucraini, albanesi, polacchi, dominicani e stranieri di altre svariate etnie costituiscono un nuovo, ampio segmento della nostra popolazione. E salvo rari episodi e individui, va anche detto che è facile riscontrare la laboriosità e la tranquillità di questa gente, che col tempo ha naturalmente isolato le solite, immancabili teste calde che potessero pregiudicare i suoi obiettivi e lo scopo stesso della sua permanenza dalle nostre parti.

In altre parole, credo che nessuno possa lamentarsi di un obiettivo di governo che consolidi utili forme di controllo a vantaggio della tranquillità di tutti, immigrati compresi; così come mi auguro che provvedimenti che consentano manifestazioni incontrollate di autodifesa, spesso messe in discussione anche in quel sistema americano che sembra proprio non riesca a rinunciare al libero acquisto e detenzione di armi da fuoco, vengano opportunamente e coscienziosamente regolamentate.

Perché non abbiamo bisogno di una specie di Far West: ci basta sentirci ancora un po’ “Il Bel Paese”. Quello che tutti ci hanno sempre invidiato.

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