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venerdì, Marzo 29, 2024

“I bambini della notte”: il libro, la scoperta.

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“Tutto è possibile quando si è veri e liberi”

Un libro è cibo per la mente. Con questo slogan ormai abbastanza inflazionato, negli ultimi anni, si tenta di incentivare un’attività vecchia quanto il mondo ma sempre estremamente affascinante. I nostri giovani, purtroppo, si allontanano sempre di più dal più prezioso degli arricchimenti culturali, distratti come sono dalla multimedialità e dai ritmi frenetici dello strano mondo in cui viviamo. Personalmente, da quando ero bambino, non mi faccio mai mancare un buon libro; sono una sorta di onnivoro della lettura, allontanando da me solo ciò che, nel leggerlo, mi provoca tensione o, in ogni caso, mi priva del piacevole relax mentale nell’essere assorbito dall’argomento o dalla storia trattata (come è capitato, ad esempio, con Pape Satan Aleppe del compianto Umberto Eco).

Il libro che ho appena terminato si chiama “I bambini della notte” ed è scritto a quattro mani da Mariapia Bonanate e Francesco Bevilacqua (ed. il Saggiatore) e mi è stato regalato da quest’ultimo. Conosco Francesco da quasi due anni per frequentazione professionale, ma solo da pochi mesi a questa parte ho scoperto con piacere e per caso questa sua diversa e affascinante veste. E con altrettanto piacere ho avuto l’ennesima conferma che i giudizi “di facciata”, quelli che si limitano a valutare le persone negli ambienti in cui, talvolta, sono portate gioco forza a mostrare solo la parte scontata di loro stesse, andrebbero avvalorati o smentiti da approfondimenti quanto mai preziosi.

Ed eccoci al libro, un’opera in cui la lucidità e la freddezza del top manager lasciano il posto alla sensibilità ritrovata, all’identità personale che forse neppure conosceva e che appare indomita proprio nel momento della vita che mai si aspetterebbe. Nella storia del suo primo viaggio in Nord Uganda, con la scoperta dell’opera preziosa di Lucille e Piero Corti nel Lacor Hospital di Gulu, Bevilacqua ci accompagna in una serie di episodi pronti a catturare la totale attenzione del lettore, ma soprattutto a toccarne le corde più delicate. L’efferatezza dei ribelli pronti a trucidare in veri e propri raid notturni qualsiasi essere umano senza distinzione di età o sesso, il dramma dell’AIDS agli albori della sua scoperta documentata, l’arrivo improvviso dell’ebola, i tanti missionari e volontari laici e religiosi (veri e propri eroi, come il “compagno di viaggio” Elio Croce, Matthew, Sister Fernanda e tanti altri) rappresentano i protagonisti di un racconto che coinvolge, inevitabilmente, ogni pagina di più.
Non mancano i colpi di scena, in questo libro, gli episodi che portano oltre la semplice commozione in un racconto che –credetemi-, per quanto avvincente, è in alcuni tratti veramente difficile da sostenere, al pari di tutto quanto si scontra con quella dura realtà contemporanea, pronta ad ignorare le storie vere che meriterebbero dal mondo intero ben altra attenzione. Splendido, a parer mio (giusto per citarne uno), l’incontro quasi casuale, nella corsia del Lacor, tra Kenneth e James, rispettivamente vittima e carnefice: il primo pronto a mettere da parte il dolore di aver subito l’amputazione delle dita da un suo pressoché coetaneo e il secondo, confessata l’umiliazione subita dalla volontà dei ribelli, che ne accoglie l’insperato perdono attraverso un reciproco abbraccio.
Ma tutto, a mio modestissimo giudizio, si ferma dinanzi alla descrizione dei night commuters (i bambini della notte, appunto), giovanissimi costretti a percorrere decine e decine di chilometri, due volte al giorno, per assicurarsi un riposo sicuro nel cortile del Lacor, cercando con questa pratica oltremodo faticosa di sfuggire, durante la notte, agli attacchi sanguinosi dei ribelli nei propri villaggi d’appartenenza. E’ proprio tra di loro che Francesco dà libero sfogo a quella sensibilità ritrovata cui accennavo qualche capoverso fa, ritrovandosi forse inconsapevolmente a camminare spesso tra di loro nel cuore della notte, magari fino all’alba e scoprendovi, quasi come una trama segnata dal destino, la figura di Dan; quel piccolo, grande uomo che provava a imparare a scrivere sotto la luce della luna e che, da “bambino della notte”, crescerà per ritrovarsi anni dopo studente in medicina e nuova speranza per la prosecuzione del disegno meritorio dei Corti in Africa.
Non si tratta né di una storia a lieto fine né di un reportage fatto di clip facilmente inventate. Se siete alla ricerca di una lettura frivola e distensiva, beh, questo non è il libro che fa per Voi. Se lo suggerisco è perché non è mai troppo tardi per interrogarsi, anche attraverso una storia come quella de “I bambini della notte”, sulle vicende legate a realtà lontane da noi ma che, comunque sia, appartengono a tutta l’umanità. E personalmente sono grato a Francesco Bevilacqua del libro che mi ha donato, ma soprattutto di una parte della sua dedica, che condivido in pieno e che mi rende certo che un po’ ovunque, anche quando mai te lo aspetti, puoi ancora riuscire a trovare tanto di buono nel tuo prossimo: “Tutto è possibile quando si è veri e liberi!”.

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