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sabato, Aprile 20, 2024

E se Lagnese contribuisse concretamente a combattere povertà, disagio e idolatria?

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GRANDANGOLO a cura di Gianni Vuoso | Girovagando su you tube ci siamo imbattuti in un intervento del vescovo d’Ischia Pietro Lagnese, lo scorso mese di settembre. Ed abbiamo condiviso alcune espressioni.
“Signore- chiede Lagnese- quali sono le malattie delle nostre parrocchie? Quali sono le miserie che viviamo nella nostra bella isola, dove albergano povertà e disagio sociale, disaffezione al bene comune e al territorio, illegalità diffuse, sperequazioni? Siamo in un’isola divisa, ingessata, ferma al suo particolare, col triste primato di essere una terra fra le più litigiose a causa della idolatria del denaro. Signore, che ruolo abbiamo noi cristiani, ammalati di indifferenza, in questo mondo afflitto dall’egoismo?”
In poche battute, il capo della chiesa isolana ha colto nel segno ed ha fotografato bene il popolo che vive su questo meraviglioso scoglio. Un popolo malato soprattutto, di disaffezione al bene comune. Gli ischitani non hanno interesse a ciò che appartiene a tutti, a loro interessa il proprio orticello, il proprio spazio. Il termine “collettività” è profondamente fuori dalla cultura dell’ischitano. Più di una volta si è detto che ad Ischia non è possibile vivere l’associazionismo, perché la cultura dell’ associazionismo è ancora lontana da questa terra.
Gli ischitani non sanno costruire insieme, anche se vivono insieme, mangiano insieme, si divertono insieme. Loro non sanno che unendo le proprie forze si possono raggiungere più facilmente certi obiettivi. Il problema è che ognuno dubita di un altro e nel momento in cui c’è una unità di intenti emerge sempre chi già pensa di mettere il bastone fra le ruote o escogita il sistema di trarre vantaggio per sé. Sembra quasi un fatto naturale, congenito, ma è la realtà. In fondo siamo tutti persone per bene, brava gente, di cuore, generosa, ospitale, amante del forestiero. Per saperne di più sui nostri vizi e virtù, basta rileggere ciò che scrisse a fine settecento, il dr. Francesco de Siano.
Non ne parliamo poi, della disaffezione al territorio. E’ sufficiente guardarsi intorno per avere una prova tangibile di questo aspetto, la cui causa sta tutta nell’ignoranza che gli ischitani hanno del territorio in cui vivono. La mancanza di conoscenza conduce alla violenza, perché denota mancanza di consapevolezza. Ignoranza e violenza alimentate da chi sa di poter vedere in questi mali, pozzi di interessi per i propri profitti: in particolare, chi si dedica alla cosiddetta amministrazione del paese (che attentamente e deliberatamente non ci permettiamo di chiamare politico, perché un politico con tali sembianze è un’offesa alla politica, intesa come scienza nobile). Il cosiddetto amministratore è la carta sporca che emerge dal mazzo, scelta perché sa quando non vedere, non parlare, quando fingere, quando collaborare e soprattutto poi, quando chiedere in cambio, come corrispettivo del favore elargito, il famoso voto di scambio, elemento fondamentale nella vita amministrativa di un paese. Accanto a lui una marea di personaggi che dovrebbero tutelare il territorio perché si presume che lo conoscano e perché magari, hanno incarichi ben precisi per difenderlo. Ma non fanno nulla. Si voltano dall’altra parte. E al disopra di tutti un sistema generale che copre, nasconde, lascia andare. Due esempi: le caserme dei Carabinieri a Forio e quella della Forestale a Casamicciola: due scempi che nessuno avrebbe commesso, tanto è vero che i responsabili sono liberi, penalmente candidi. Bisogna combattere? Sì ma contro un muro di gomma, quel muro che autorizza li cittadino a chiudersi nel proprio egoismo ed a concludere “chi me lo fa fare?” e ancora “se i fatti miei vanno bene lascia che il mondo vada così”. Logiche aberranti ma diffuse. Per capirne di più basta dare un occhio alla tarantella dell’art. 25, da poco approvata in Parlamento. Gli ischitani hanno capito che se hanno l’opportunità di farlo, e soprattutto se il vicino è consenziente, possono mettere ancora pietra su pietra per dare la casa ad un figlio. Qualcuno l’abbatterà? Forse. In alcuni casi è successo ma anche qui è come un gioco: c’è chi fa bingo e chi no. La legge è a maglie larghe, molto larghe.
Ma Lagnese individua anche altri mali: parla di povertà, disagio sociale e idolatria del denaro. Certo, anche ad Ischia ci sono i poveri e ve ne sono tanti. Molti hanno la dignità di non apparire poveri in modo vistoso. C’è un disagio diffuso: molti non hanno lavoro, non possono sottoporsi ad interventi medici e trascurano la propria salute. Su un altro versante c’è una fetta di ischitani che vede nella corsa al denaro l’unico scopo della propria vita: un altro motivo che spinge alla devastazione del territorio e giustifica la corsa a realizzare un manufatto, a trasformare una grotta in un abitacolo, una cantina in un B&B. Strade che conducono in un solo punto di arrivo: il guadagno facile col turista che paga.
E fin qui, diciamo al vescovo, siamo d’accordo.
Ma la chiesa deve essere anche più chiara e onesta con se stessa e con gli altri. Quando si parla di idolatria, si parla di idoli. Isaia nella Bibbia, condanna gli idoli, che offendono la divinità. Ma idoli intesi in senso più lato. Parliamo anche di coerenza: come fa un vescovo a condannare la povertà, il disagio, la corsa al denaro se non tenta di erigere concretamente, un muro per evitare che tali mali si diffondano? Un esempio stridente e molto concreto: le spese pazze che si sostengono per tenere in vita feste religiose, con la ostentazione di sprechi in fumo e luminarie e manifestazioni di giubilo. Tutte cose che richiedono soldi e soldi. Quando l’argomento fu oggetto di un dialogo con un sacerdote oggi scomparso, ci rispose: “Gianni, hai ragione, ma è il popolo che lo vuole”. Secondo noi è ipocrisia!
Non conviene alla chiesa scendere in contrapposizione? Conviene far finta di niente?
Lagnese, che ne ha facoltà, abbia il coraggio di non autorizzare la rimozione di una statua da trasportare in giro per il paese, se lungo il percorso si succederanno inutili botti “di accompagnamento”, dalla mattina (con quella stupida e incomprensibile “diana”), alla sera. Sono soldi che vanno in fumo. Soldi che la comunità manda in fumo, alla faccia della povertà e del disagio sociale. Si abbia il coraggio di limitare l’idolatria lasciando in chiesa, le statue di santi e madonne: è un invito a ridimensionare l’esaltazione di statue in giro per il paese (con i disagi che ne derivano per ben sei mesi l’anno), un invito a far capire che si può essere devoti allo stesso modo se si evitano certe manifestazioni che tra l’altro, non si hanno in tanti altri paesi, dove pure non manca la stessa devozione.
Insomma, il nostro è un invito a dare concretezza alle parole, altrimenti l’omelia resta solo una bella chiacchierata, condivisibile o meno, nobile o meno, ma pur sempre una chiacchierata.
Una scelta troppo rivoluzionaria? No. E’ solo una scelta chiara che tenta di dare un senso di realtà a tante affermazioni. Nel rispetto di ciò che dice lo stesso papa e soprattutto, per non essere convenientemente ipocriti.

1 COMMENT

  1. Il problema della Chiesa che predica bene e razzola male… hanno una ricchezza infinita e se la tengono per sè non condividendola con chi ne ha bisogno… che senso ha tutto questo..?!?! Ormai bisogna abituarsi che i cosiddetti “ministri della Chiesa” sono una casta al pari della politica..

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