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giovedì, Marzo 28, 2024

E Antonio La Trippa disse: “Non votate per me!”

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4ward di Davide Conte

 

“Concittadini, amici, fratelli, paesani, compaesani, italiani, al di qua e al di là del mare, vicini e lontani. Chi vi parla è ANTONIO LA TRIPPA.
In questo momento cruciale della vita del nostro paese bisogna separare il bene dal male, il vero dal falso.
Se io vi dicessi che una volta eletto mi batterei per Roccasecca, nostro paese, che farei costruire scuole, strade, acquedotti, case, case… Voi mi credereste?
Siii!…
Se io vi dicessi che questi signori sono persone onorevoli, degne di pregiarsi di questo appellativo parlamentare e che adopereranno i vostri voti per il bene del paese, voi mi credereste?
Siii!…
E allora sapete che cosa vi dico? Che siete degli ingenui, dei fessacchiotti, dei deficienti, degli incoscienti, perché io, una volta eletto, per Roccasecca non potrò fare un cacchio, dico cacchio; perché questi signori appena saranno eletti poseranno i loro sporchi deretani sugli scanni della camera e faranno soltanto i loro sporchi affari; vi faranno fessi, perché sono papponi, papponi, papponi….
Non votate per me! Non votate per me!… “
Questo famoso e, per certi versi, esilarante discorso, è tratto –come molti di Voi sapranno- dal film “Gli onorevoli” del 1963, con Sergio Corbucci regista e protagonista, manco a dirlo, il grande, indimenticabile Totò. E proprio quest’anno che si celebrano un po’ ovunque i cinquant’anni dalla scomparsa del “principe della risata” (un po’ ovunque ma, finora, non ad Ischia, dove peraltro abbiamo in Biagio Di Meglio uno dei più autorevoli studiosi e conoscitori viventi di De Curtis), il suo discorso dal balcone di Roccasecca sembra di incredibile attualità. Ciononostante, con i sentimenti di antipolitica imperanti un po’ ovunque nel nostro Paese, manca ancora la capacità diffusa di dedicare alla gente un parlare sincero ed una proposta programmatica degna di essere definita tale. Così come, da parte della gente, non vi è grande predisposizione a cogliere l’importanza di identificare la scelta migliore prescindendo dalle amicizie e dalle clientele personali. Ma di questo, amici Lettori, Vi ho già parlato fin troppo spesso.
In altre parole, oltre ad una forte carenza di materiale umano e di attributi da entrambe le parti, anche il cosiddetto “marketing politico” risulta particolarmente scadente, sia nell’adozione del linguaggio (che in altre realtà come gli Stati Uniti rappresenta il cardine del successo di una campagna elettorale), sia nella pianificazione e nelle priorità che riguardano, almeno sulla carta, il “necessaire” di ciascuna comunità da amministrare. La capacità di “parlar chiaro” in politica, finora vagamente adottata in Italia soltanto dal Movimento Cinque Stelle (anche se con tutte le ben note contraddizioni che i Grillini pongono in essere un giorno sì e un giorno pure), è senz’altro un format comunicativo che difficilmente riuscirà a prendere piede. Proprio come in pubblicità, laddove la necessità di evidenziare a tutti i costi una unique selling proposition (la famosa proposta di unicità di un prodotto o servizio rispetto ad un altro che caratterizza un messaggio pubblicitario) molto spesso prende il sopravvento su quella chiarezza che, nel rispetto del consumatore, dovrebbe essere alla base di qualsiasi campagna o promozione. A questo proposito, sempre per restare in ambiente cinefilo, mi viene in mente un film del 1990, “Pubblifollia”, dove Dudley Moore nei panni di un creativo di grande successo finisce per completare la sua brillante carriera entrando con tutte le scarpe in una casa di cura per malati mentali, con i quali mettere su una vera e propria agenzia di pubblicità, la cui mission rispetta in pieno lo stile del suo mentore: messaggi rigorosamente fondati su singolari ma inequivocabili verità. Ad esempio, per pubblicizzare la qualità dei televisori Sony, il team di Moore sosteneva che le mani dei tecnici di laboratorio giapponesi, essendo più piccine di quelle degli occidentali, riuscivano ad assemblare con maggior precisione ciascun componente elettronico. O ancora, a proposito di auto, il mood creativo per una Volvo 760 recitava qualcosa del tipo: “Compra una Volvo! Sembra una baracca, ma è solida. Non è una macchina sexy, ma di questi tempi non conviene il sexy con tutte queste nuove malattie che ci sono in giro. Meglio sicura che sexy”. Come dire, niente più sviolinate e prese in giro, niente più detersivi che fanno bene alle mani o discutibili dentifrici antibatterici: solo sincerità ad ogni costo. Una strategia costata il posto di lavoro a lui e al suo diretto superiore, salvo essere richiamati al lavoro con urgenza in virtù della straordinaria redemption di tutta la loro insolita e provocatoria creatività.
Quanti anni passeranno ancora per poter assistere, prima o poi, ad un’inversione di tendenza nel linguaggio della politica dalle nostre parti? Quanto ancora ci vorrà per prendere atto che non è l’accompagnamento ad una visita medica gratuita o lo snellimento dei tempi burocratici per una pratica edilizia a distinguere un amministratore pubblico capace e degno di essere sostenuto da uno del tutto inetto ed inadeguato a ricoprire tale ruolo, amico o sconosciuto che sia? Quanto dovremo aspettare affinché il tanto sbandierato “bene del Paese” trovi riscontro almeno in minima parte nelle scelte e negli orientamenti di chi compie la scelta di proporsi quale paladino di questa teoria che è da sempre sulla bocca di tutti, ma non nei fatti? Sia ad Ischia che in Italia ci stiamo avvicinando a due importanti tornate elettorali: nella prima, ci saranno ben due Comuni al voto; nella seconda, si ritornerà finalmente -salvo pasticci di una legge elettorale di cui ancora non si ha notizia- ad un Governo legittimato dal voto popolare e non più frutto di inciuci di palazzo. Eppure, a poco più di un mese dalla presentazione delle liste, è aperta solo la caccia al candidato, ma non certo la fase di stesura dei programmi elettorali; una pratica desolante, che punta spietatamente a isolare le menti pensanti, in particolare per i ruoli apicali, a vantaggio di quelli che vengono –a volte con troppa presunzione- considerati “pilotabili”. Così come, sul piano nazionale, al momento conta esclusivamente aspettare gli esiti apparentemente scontati del congresso PD di fine aprile, piuttosto che cominciare a gettare le basi per la definizione a strettissimo giro di un sistema elettorale che consenta maggioranze solide e durature, utili a scongiurare un ormai probabile desueto tripolarismo in cui o ci si accorda, oppure la quadra non si trova.
E allora, grande Totò, oggi più che mai spero che il Tuo discorso da candidato fuori dagli schemi riecheggi nelle orecchie di tanti soloni, la cui presunzione di poter prendere in giro la benché compiacente gente comune va ben oltre il loro ormai latitante senso del pudore, ma di cui veramente non se ne può più. E chissà che almeno qualcuno di loro, passandosi una mano per la coscienza, non voglia rappresentare la vera novità delle prossime campagne elettorali, emulando quell’insolito quanto improvvisato “politicante” di paese, inconsapevole antesignano di quel linguaggio politico che oggi farebbe tanto bene a tutti.
Cercasi novello Antonio La Trippa. Disperatamente.

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