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giovedì, Marzo 28, 2024

Don Pasquale Sferratore e i Sessant’Anni di Sacerdozio

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don Pasquale Sferratore | Rendo grazie a Dio per aver raggiunto questo traguardo volante di sessant’ anni. Ho detto sempre che noi sacerdoti siamo operai al servizio di Dio e che se Lui ci da la salute, l’intelligenza e
l’ entusiasmo per lavorare ci va bene Lui per primo e tutto torna a sua lode e gloria. La nostra missione è come una corsa ciclistica. dove la macchina ammiraglia, col megafono entusiasma il suo pupillo, dicendo: vai avanti…! ed io ho seguito il mio ritmo e vado avanti. Ho citato la bici, perché mi è sempre piaciuto usare la bicicletta, ancora oggi sono l’ unico che va in bicicletta, e se qualcuno, vedendomi sfrecciare in bici dice: “Don Matteo”, si ricordi che Don Matteo è vento dopo di me ed ha copiato da me. Voglio ringraziare Sua Ecc. Mons. Pietro Lagnese, vescovo della nostra diocesi, per i suoi auguri e gli auguro saggezza e cordialità nel guidare la diocesi. Un sentito grazie alle catechiste, al coro, alla banda dei zufunié, ai bambini della Prima Comunione insieme ai loro genitori, in particolare ai miei nipoti e pronipoti per aver organizzato, a mia insaputa e contro mia voglia , questo piccolo , ma tanto intimo momento di preghiera e di gioia. Ricordatevi che fare la festa a… ha tutto un altro significato. “Mi avete fatto la festa!”, anche se ogni anno, come anche questa volta, vi ho detto che non desidero alcuna festa. Non amo stare ai primi posti, al centro delle attenzioni e delle lodi, ma di essere al primo posto come animatore di tutto ciò che è bello e buono. Lascio agli altri la gloria, a me interessa lasciare le opere, perché queste parleranno di me e di voi nel tempo futuro. La gloria fallace è un leggero fumo, che ben presto il vento annienta e sperde. Se ho lavorato lo è stato per voi ed insieme a voi, perché standomi vicini mi avete dato la carica e l’ entusiasmo.
Divenuto sacerdote il quattordici luglio 1957, nel settembre seguente ritornai nel seminario vescovile di Ischia come “prefetto”, ossia come educatore ed insegnate, per altri tre anni. Approfitto per salutare cordialmente tutti i seminaristi di allora, sperando di aver lasciato un bel ricordo nel loro cuore. Il cinque giugno del 1960 il parroco Don Pasquale D’Abundo lasciò la parrocchia di S. Michele Arc., a Monterone, in Forio, e fu promosso alla parrocchia di Portosalvo, a Ischia. Sua Ecc. Mons. Antonio Cece, uomo di grande talento, cultura, personalità ed umanità, mi chiese di prendermi cura della parrocchia “senza di metterti in testa che ne sarai parroco”. Alla mattina, fin quando i seminaristi non andarono in vacanza, dovevo celebrare presto la messa alla Madonna del Buon Consiglio, a Casamicciola, e ritornare per insegnare. Al pomeriggio dovevo correre per la benedizione nella chiesa di San Michele, a Forio, ed anche per qualsiasi cosa che poteva essere utile ai miei fedeli. Dopo, di corsa a Ischia per per restare accanto ai seminaristi. E Dio pur mi diede la forza di portare avanti questa missione e sono ancora al mio posto di lavoro. Sono sempre partito dal principio che in qualche luogo bisogna lavorare e non conta la nobiltà della chiesa, ma chi la sa reggere e guidare con passione, coraggio, competenza e buona volontà. Non mi sono scelto la parrocchia, ma me l’hanno affidata, e mi dispiace dirlo, Monterone era considerata come una zona arretrata e nessuno voleva venirci. Le chiese belle sono come gli spaghetti al filetto di pomodoro: sono quelle più appetibili. A me interessava lavorare e penso di averlo fatto con sacrificio, ma con tanto amore, facendo della mia vita un sola grande missione, condividendo la ben nota miseria dei padri antichi, con la ricchezza e la nobiltà dei loro cuori. Anche se non mi sono mangiato gli spaghetti per lo meno ho fatto la scarpetta sottolio piatto. Ho sempre apprezzato il lavoro degli operai, ma anche la gioia di quelli, che in ogni tempo mi hanno affiancato nel lavoro, per rendere bella la nostra piccola chiesa e ricca di tante iniziative, dove non mi sono sentito colui che comanda, ma ho trattato tutti come amici, trasmettendovi la fede, la gioia di vivere, anche nei momenti bui e squallidi. Ho costruito la strada, che da Monterone porta a Piellero, da Monterone porta a S. Maria del Monte, dando valore a quella chiesa, che avrei tanto desiderato di vederla splendida, ma chi poteva aiutarmi non mi ha mai aiutato, Ho costruito la strada di Stennecchia e il tutto, per venire incontro ai contadini, per non fare abbandonare i campi, sorgente del loro cibo e centro della loro vita grama. Oggi, i ragazzi di allora, ancora ricordano le serate trascorse in sagrestia a giocare al bigliardino, ecc, a vedere la prima TV di allora, con l’ impegno di venire a messa alla domenica, le squadre di pallone, le partite di pallone dei professori contro gli alunni delle scuole medie, i tornei estivi di palla a volo, i giuochi olimpici, i giuochi della gioventù, le gite, i lunedì in albis in montagna, a Vivaro, sull’ Epomeo, i teatrini, le serate di canto, i primi presepi viventi, i concerti, i cori, le serate di riflessione e canti per i forestieri, specialmente per i turisti tedeschi, la messa in tedesco, lezioni di inglese e francese, di taglio e cucito, di ricamo, serate per gli anziani, balletti. Ho costruito l’ asilo, messo a nuovo la chiesa di S. Lucia, il salone e la nuova sagrestia a S. Michele, la chiesina “Regina delle Rose” con sculture in pietre e piperno ad altezza naturale, l’acquisto della torre di Nacera, ecc., la messa in lingua tedesca ed italiano nei giardini Poseidon . Una volta alla settimana riunivo i tedeschi a San Michele, per donare loro delle riflessioni, momenti di svago, lasciare nei loro cuori la gioia del canto, per allietare la loro solitudine, ecc. . Cari amici, a quanti ci hanno disprezzato, questo elenco può darsi che farà male, perché oscurerebbe esaltate nullità, che hanno sempre bisogno di agganci per appendere i loro panni, ma penso che sia giusto sapere ciò che è stato realizzato. Altri le chiese le hanno avuto belle e fatte, io ci ho rimesso una vita per renderle belle ed accoglienti. La mia missione si è svolta qui, in silenzio, ma con orgoglio, capacità, caparbietà e con fede, nella squallida emarginazione dei poteri civili e religiosi. La croce l’ho dovuto portare da solo e ne sono orgoglioso. Le porte di quelli che dovevano e potevano le ho trovate sempre chiuse. Spero almeno di trovare aperta quella del paradiso. Con i colleghi ho cercato sempre di avere un ottimo rapporto, avendo sempre rispetto per quelli che erano più anziani di me, cercando iniziative nuove per essere loro di sostegno, quando il bisogno bussava al cuore, consumato dagli anni. Abbiamo realizzato “la festa dell’Innocenza”, al Soccorso, dove riunivamo tutti i bambini di Prima Comunione, con la s. messa del Vescovo Mons. Pagano, il lancio dei fiori ecc.. Saluto cordialmente anche i ragazzi delle Scuole Medie, dove ho insegnato per tanti anni e molti colleghi sono ancora in vita, che possono testimoniare il nostro impegno e la loro collaborazione, perché la Scuola fosse una vera famiglia, dove regnava stima reciproca, cordialità e collaborazione. Un grato ricordo vada anche al Prof. Francesco Amalfitano “Mattiazz’”, col quale abbiamo organizzato gite, recite, giuochi per far capire agli alunni che la scuola è innanzitutto strumento di unione e di formazione, dove si prepara l’ uomo del domani, come pure, abbiamo trovato nella preside Morgera una mamma, una vera signora, dalla nobiltà dei tratti e dalla gentilezza nell’ agire, veramente una nobile figura di tempi che non verranno più. Con quanto entusiasmo celebravamo quel “Precetto Pasquale”! Cari ex alunni, vi rivedo sempre con tanta nostalgia e simpatia: Fatevi onore per onestà ed impegno e lasciate sempre un bel ricordo di Voi. Saluto caramente anche gli alunni e i professori dell’ Istituto Nautico, dove ho insegnato per tanti anni, dove abbiamo tutti collaborato con stima reciproca, competenza, per far capire, che non eravamo quelli che sedevano in cattedra , con a disposizione una penna, per assegnare un voto, ma eravamo educatori, formatori, che preparavano alla vita, dove si sarebbero dovuti distinguere per competenza, serietà di lavoro, disposti al sacrificio per portare a casa un dignitoso pezzo di pane ed un grande amore. Cari giovani, non dimenticate gli insegnamenti che vi abbiamo trasmesso, ma soprattutto il “Precetto Pasquale”, con tanto raccoglimento, con tanti canti, tanto da attirare l’ ammirazione anche dei forestieri. Oggi, come allora, vi dico ancora: vogliamoci tanto bene e, se avete bisogno di me, sapete dove trovarmi, perché vi sono sempre vicino, specialmente con quella preghiera, che vi ho inculcato nel cuore e quando potevo esservi utile, mi avete sempre trovato disponibile accanto a voi.
Saluto anche i giovani dell’Istituto per la floricoltura. Breve è stato il tempo, ma anche una bella esperienza.
Non ho scritto queste cose per vantarmi, ma è la vita di tanti anni, che affiora prima di dirci addio, con l’orgoglio di aver compiuto il proprio dovere coscientemente e senza interessi , sempre in mezzo a voi ed insieme a voi, come l’ allenatore che entusiasma i suoi per lottare e vincere e realizzare sempre cose più belle.
Spesso veniamo considerati come limoni spremuti, che non hanno più una goccia per dissetare fumiganti cime. Certo, ogni nave ha davanti a se una rotta da seguire ed una meta da raggiungere. Quante navi più velocemente attraccano alla banchina. L’ orgoglio della marina italiana, nel tempo della guerra, che aveva tagliato anche il nastro azzurro, ossia la nave più veloce, in omaggio al re si chiamava “Rex”, parola latina, che significa “Re”. Come tutte le navi, al termine dei suoi giorni felici, fu portata nel cantiere, non per le riparazioni, ma per l’ estremo addio. La ruggine cominciò lentamente a consumare quel nome e rimase soltanto “EX”, amaro ricordo di una lontana vibrante parola, dal regale sapore: “RE”, ora semplicemente un povero “ex”. Fino ad oggi ho portato dignitosamente e senza risparmi, la mia croce: “+”. ora, che sono vicino alla meta, mancando le forze, le aste di quella croce leggermente si inclinano e stanno per diventare come la croce di Sant’ Andrea “X”, perché oltre alla “R” sta per partire anche la “E” e ci resterà soltanto la “X”, ossia la croce del Povero Cristo. Ho amato il canto, con il quale ho reso felice tanta gente delle varie parti del mondo. Ho inciso sei CD, e tutto il ricavato è stato speso solo a favore delle mie chiese. Oggi, se ci danno un soldo, sembra quasi una misero tozzo di pane per un cane affamato, offerto in luccicanti cappelli dorati, inservibile avanzo a ben turnite sponde. Quando chiesero agli apostoli se il Maestro pagava le tasse per il tempio, Gesù chiamò Pietro e gli disse: Vai al lago, getta l’ amo, e il primo pesce che prenderai, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d’ argento, con quella pagherai la tassa per te e pere me. E così avvenne. Oggi ti direbbero: scava sotto la sabbia a se ci troverai qualcosa. Così i miei nipoti saranno forse costretti a pagarmi anche le esequie, come sempre è avvenuto.
L’ importante è che siamo ancora in buona salute a sfidare il tempo e gli eventi, certi che Dio non ci abbandona. Ringrazio cordialmente chi dei miei mi lava un panno e mi cucina un piatto. Volete la festa, va bene, ma la festa è come i fuochi artificiali: dopo la luce, la grande oscurità, così, dopo della festa la nostra grande solitudine, arricchita di critiche pungenti e di lamenti. Saluto cordialmente anche voi tutti amici di un tempo lontano, sacerdoti del Dio Altissimo, di quell’anno felice 1957. L’unione e l’amore ci hanno sempre distinti per tante belle iniziative ed ancora oggi, sebbene in pochi, ci sentiamo come una famiglia, per rallegrarci, pregare, consigliarci ed incoraggiarci. Sono queste le doti di chi ci ha formati al sacerdozio. Un limone spremuto viene gettato via, ma l’importante è che abbiamo dato con cuore tutto ciò che avevamo. Almeno, abbiamo una storia da poter raccontare ed utilizziamo il nostro tempo per costruire e non come fedeli gattini tesi solo a leccare sontuose scarpe nella speranza di un pezzettino di carne. Un pezzo di pane pur riempie lo stomaco e dà tanta soddisfazione quando, anche se duro, si ammorbidisce col sudore della nostra fronte.
Al Sig. Direttore de “Il Dispari” e a voi tutti: Grazie, con gratitudine e riconoscenza: “Grazie”.

Don Pasquale Sferratore

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