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venerdì, Aprile 19, 2024

Cibo e musica. a tavola come all’opera

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Per un attimo (e più avanti capirete il perché, amici Lettori) ho provato a creare un accostamento tra sedersi a tavola e assistere a un concerto. Ebbene, ci sono tante similitudini, ma anche profonde differenze. Entrambe le circostanze, infatti, indipendentemente dai generi e dai gusti, costituiscono momenti di indiscutibile piacere, ma è altrettanto indubbio che è la soggettività dell’approccio, in un caso come nell’altro, a fare la differenza.

davide-188x80Chi si trova a proprio agio ad un concerto rock denso di frastuoni, per certi versi, lo paragonerei a chi va a mangiare fuori (magari in una suggestiva cantina) per procurarsi una sonora abbuffata; così come chi ama il jazz, lo accosterei ad un ristorante raffinato e dallo splendido panorama; e ancora, un amante della dance lo inquadrerei in un contesto gastronomico tutt’altro che slow; al pari di un appassionato di liscio, configurabile perfettamente a suo agio in un ricercato ristorantino di campagna o montagna.

Il cibo come la musica, proprio così. “Dimmi che musica ascolti e scoprirò come mangi”, mi verrebbe da dire. Ma al tempo stesso, nel sedersi a tavola, ognuno di noi dovrebbe avere la capacità di assumere l’approccio ideale con l’ambiente in cui ha deciso di consumare il proprio pasto, affrontandolo in modo corretto e con la giusta preparazione, proprio per apprezzarlo al meglio e senza mai avere la superbia di sovvertirne la natura.

Martedì sera ho avuto l’onore, insieme a mia moglie, di cenare al Danì Maison del nostro chef bi-stellato Nino Di Costanzo. Immaginavo a cosa andassi incontro, perché qualche anno fa ho già incontrato al “Mosaico” la cucina di questo talento ischitano ormai ricercatissimo in tutto il mondo. Tuttavia, ove mai avessi pensato di ritrovare qualcosa di perfettamente noto, fatta eccezione per la sua maniacale ricerca del particolare, mi sarei sbagliato di grosso.

Vedete… smettiamola con quegli onanismi psicologici ricchi di luoghi comuni! Le porzioni invisibili, alzarsi da tavola per poi cercare spasmodicamente una pizzeria, un conto che ti spenna, mancato rispetto delle tradizioni locali, accostamenti insostenibili e quant’altro impera nei discorsi di chi non sa proprio andare oltre: in un posto del genere, ciò che conta è proprio l’approccio, quello che ciascuno di noi, al pari di quando si va ad un concerto, deve essere preparato ad assumere.

Una cena al Danì Maison, a mio modesto giudizio, può essere apprezzata da chiunque abbia ben chiaro non solo il rispetto basilare che un professionista di tale caratura merita, ma che sappia recepirne l’importanza del lavoro anche –ed è possibile- non comprendendone l’origine e la missione. Proprio come quando si va all’opera!

Ero piccolo quando, unendomi al gruppo dei liceali di mio fratello Tony, mi recai al Teatro di San Carlo ad assistere alla Madame Butterfly di Puccini. Così come quando i miei compianti zii Cecilia e Tonino Monti, grandi appassionati, seguivano in tv le opere liriche, o mi raccontavano dell’Aida e del Nabucco di Verdi all’Arena di Verona, anche in quell’occasione non capii granché della trama e del canto che narravano la storia di Pinkerton e Cho Cho-San, ma ricordo benissimo l’intensità di quei momenti, di quelle note, di quelle magistrali interpretazioni in un autentico tempio italiano dell’opera, proprio come se mi fosse capitato ieri. E nel mio piccolo, lo apprezzai tantissimo.

Martedì sera, più che andare a cena, mi è parso di essere a teatro, assistendo a una di quelle opere immortali al cui cospetto non puoi e non devi essere in grado di far altro che tacere, ascoltare, osservare, apprezzare e, alla fine, senza particolare sforzo, applaudire, ma solo perché l’applauso a scena aperta potrebbe confondersi con una manifestazione di irriverente piaggeria.

Arie di altissimo livello, martedì sera, quelle scandite dall’alto di una più che impreziosita collina di Montetignuso, in un prologo intriso degli aromi inebrianti delle erbe officinali incontrate nel rigoglioso giardino curato da Ettore Guarracino, in cui si viene accolti da un aperitivo più che all’altezza del menu che seguirà. Gradevoli sculture qua e là, realizzate dai maestri Felice Meo e Antonio Nocera, tra civette, lische, pesci ed immancabili uccellini (questi ultimi si riveleranno, a giusta ragione, il leit motiv del locale di Nino), interni dall’arredo minimalista ma non privo di forti caratterizzazioni, anche pittoriche, ispirate ai valori e ai simboli della Bella Napoli, tavoli in marmo pregiato rigorosamente senza tovaglia ed accessori (piatti, bicchieri, mini-decanter dell’olio, portapane e reggiposate) disegnati uno per uno dallo chef, sono gli strumenti di un’orchestra della cui valenza, di lì a poco, sarà semplicissimo accorgersi già dalla carta, che a mo’ di programma della serata presenta in modo ben distinto ed articolato i gruppi di portate, gli aperitivi, i vini, le acque e finanche gli olii.

A tavola, al Danì Maison, si va oltre la degustazione bella e buona. Ogni portata è una sinfonia, scandita da un direttore in grado di plasmare a sua immagine e somiglianza i suoi orchestrali, ciascuno pronto a conservare la sua bravura di solista, sacrificandola però in un contesto di squadra dove la folle creatività del Maestro, unita alla sua pregevole manualità, sono i veri valori utili a fare la differenza. Una sola menzione particolare: le “Fumarole”, ovvero la perfetta simulazione della cucina a vapore sotto la sabbia, con un filetto di merluzzo cotto al momento da una base di pietre bollenti dei Maronti, una miriade di erbe aromatiche ed il vapore creato dall’aggiunta di acqua di mare: il tutto in un sol minuto e… al tavolo. Il risultato? Un incredibile quanto gustoso colpo di genio, all’insegna della più ricercata ischitanità.

Chi è solito leggermi sa bene che non sono prodigo di quelle che, giornalisticamente parlando, vengono (spesso ingratamente) definite “marchette”, ma sa anche che ho sempre messo volentieri in evidenza il bello e il buono di un’Isola che meriterebbe molto ma molto di più, proprio a partire dal contributo di noi Ischitani alla causa del turismo di qualità. Ebbene, se tanto mi dà tanto, Nino Di Costanzo oggi ha creato con un investimento tanto coraggioso quanto considerevole un autentico monumento alla qualità “targata Ischia”. Una sorta di tempio dove di certo, nababbi a parte, non ci si può recare ogni settimana, ma che meriterebbe almeno una visita da parte di ciascuno di noi; non fosse altro che per premiare una vera eccellenza di casa nostra che non aveva alcun bisogno di investire qui, ma che ha dato la precedenza alla sua terra per continuare un cammino di assoluta rinomanza gastronomica nel segno dell’Isola Verde.

Sipario e applausi per Nino. Alla prossima opera, alla prossima stella!

 

 

2 COMMENTS

  1. Complimenti Davide
    Scrivi in modo perfetto e il tuo testo poteva essere ” Musica,cibo e Sinfonia di parole”
    10 e lode a te e presto assaggeró l’atmosfera e i piatti del Daní Maison. Mi hai affascinata
    Chiara Conti

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